Condizione femminile
Nelle insurrezioni le donne lottano a fianco degli uomini. Sono presenti il 14 luglio 1789 (presa della Bastiglia) e il 10 agosto del 1792 (assalto alle Tuileries). Nell'ottobre 1789 sono le prime a mobilitarsi e a marciare su Versailles, seguite nel pomeriggio dalla guardia nazionale. Quando la guerra porta gli uomini al fronte sono loro a sostituirli nelle fabbriche e nei laboratori con un salario minimo e inferiore a quello dei maschi. Non possono votare né essere elette, sono totalmente escluse dalla vita politica e dalle assemblee. Ma le donne non si arrendono e chiedono di essere arruolate nell'esercito per difendere la propria patria. L'assemblea legislativa, a cui si sono rivolte, gli ride in faccia, segno che, naturalmente,fa capire che non possono. Ma centinaia e centinaia di donne riescono a partire e a marciare verso il fronte. Nel 1793 le repubblicane di Parigi chiedono che a tutte le donne sia fatto obbligo di portare la coccarda simbolo della rivoluzione e diritto alla cittadinanza. La convenzione approva, ma gli uomini hanno paura che poi chiedano anche il berretto frigio e le armi. Inoltre gli uomini trovano insopportabile che gli stessi diritti possono essere estesi anche alle donne e pensano che debbano ritornare alle faccende domestiche e non immischiarsi nella guerra.
|
La condizione delle donne nell'era Vittoriana è spesso vista come l'emblema
della discrepanza notevole fra il potere e le ricchezze nazionali dell'Inghilterra
e l'arretrata condizione sociale. Durante il regno della regina Vittoria, la
vita delle donne divenne sempre più difficile a causa della diffusione
dell'ideale della "donna angelo", condiviso dalla maggior parte della
società. I diritti legali delle donne sposate erano simili a quelli dei figli:
esse non potevano votare, citare qualcuno in giudizio né possedere alcuna
proprietà. Inoltre, le donne erano viste come esseri puri e puliti. A causa di questa visione, i loro corpi erano visti come templi che non dovevano essere adornati con gioielli né essere utilizzati per sforzi fisici o nella pratica sessuale. Il ruolo delle donne si riduceva a procreare ed occuparsi della casa. Non potevano esercitare una professione, a meno che non fosse quella di insegnante o di domestica, né era loro riconosciuto il diritto di avere propri conti correnti o libretti di risparmio. A dispetto della loro condizione di "angeli del focolare", venerate come sante, la loro condizione giuridica era spaventosamente misera.
|
Il primo traguardo importante è il conseguimento del diritto di voto per il quale si batterono le suffragette. In seguito ai conflitti mondiali le donne, che avevano rimpiazzato i molti uomini mandati al fronte sul lavoro, ottennero maggiori ruoli in società e possibilità lavorative fuori dalla famiglia. |
Bagram, Afganistan, 25 febbraio 2005. Una sottufficiale della polizia militare USA, con il suo cane poliziotto, durante l'addestramento alle operazioni in abitati. Sia la donna sia l'animale (una femmina di nome Hanna) indossano abbigliamento antiproiettile. Le donne si sono battute per sostenere cambiamenti nel campo del diritto, dal voto all'IVG, dal divorzio alle leggi in materia di violenza sessuale. Le conquiste femminili nel mondo occidentale si sono tradotti in maggiori diritti e in un divario meno ampio tra i sessi. Malgrado questo, nemmeno nel mondo occidentale è stata raggiunta un'effettiva parità La violenza sulle donne è una piaga presente tutt'oggi anche nei paesi occidentali. In base ad un'indagine dell'Unicef, tra il 10 e il 20% delle donne in Europa ha subìto violenza |
In alcune zone dell'Africa orientale è particolarmente diffusa la cruenta pratica dell'infibulazione che viene inflitta alle bambine.
In molte zone rurali dell'Asia avviene tuttora la soppressione dei neonati di sesso femminile e anche l'aborto dei feti femminili.
La condizione femminile in Italia comincia a migliorare verso la metà del XX
secolo, quando, secondo alcune fonti, il movimento delle
suffragette
ottenne il
suffragio femminile[10].
Quest'ultimo venne infatti riconosciuto solo nel 1945 con un decreto di Umberto di Savoia, ultimo re d'Italia. Nel dopoguerra, all'Assemblea Costituente vennero elette 21 donne. La spinta femminile per l'emancipazione diminuì con il raggiungimento del diritto al voto, nel 1946 per poi rafforzarsi a partire dagli anni sessanta. Si rafforza il movimento femminista che rivendicò gli stessi diritti degli uomini nella famiglia, nel lavoro e nella società. Grazie a questi movimenti oggi, gli uomini e le donne italiane godono degli stessi diritti. Malgrado questo traguardo, il World Economic Forum, rivela che nel 2010, su 128 Paesi, l'Italia si trova all'74º posto per uguaglianza di genere.[11] L'indagine prende il nome di Global Gender Gap Index[12] ed è oggetto di
critiche in quanto è volta a rilevare i soli ambiti nei quali le donne sono
sotto In Italia, a livello giuridico, le donne hanno pari dignità sociale e uguali diritti rispetto al genere maschile. Tali principi sono garantiti dall'articolo tre della Costituzione. La scolarizzazione femminile, nel primo decennio del XXI secolo, ha raggiunto livelli molto elevati. In particolare nelle nuove generazioni (dai 15 ai 40 anni) le persone di sesso femminile che dispongono di un titolo di studio superiore o uguale all'esame di maturità sono il 53%, contro il 45% di quelle di sesso maschile[13]. Le donne rappresentano inoltre il 65% dei laureati[14]. Attualmente le donne hanno maggiore accesso, e agevolazioni nel mondo del lavoro alla fine del percorso di studi (laurea)[13]. Inoltre, le giovani donne che decidono di essere single raggiungono posizioni dirigenziali in percentuale pari ai colleghi uomini nelle medesime condizioni[13]. Il tasso di disoccupazione femminile in Italia è più elevato (circa 4% Istat, 2005) di quello maschile. Il tasso di occupazione femminile è nettamente inferiore a quello maschile, risultando occupate nel 2010 solo circa 46 donne su 100, contro una percentuale del 67% degli uomini[15]. Nel Mezzogiorno le differenze sono più accentuate e l'occupazione delle donne arriva a appena a superare il 30%. Il tasso di inattività è, di contro, molto alto, arrivando a sfiorare la metà di tutta la popolazione femminile in età lavorativa. Tra le principali cause di questo fenomeno va citata l'indisponibilità per motivi familiari, motivazione che è quasi inesistente per la popolazione maschile[15]. Ad esempio il 15% delle donne dichiara di aver abbandonato il posto di lavoro a causa della nascita di un figlio. Spesso si tratta di una scelta imposta, infatti in oltre la metà dei casi sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza[16]. Dal punto di vista universitario e del mondo del lavoro le giovani italiane sono ormai più istruite degli uomini, anche se scelgono spesso percorsi di studio meno remunerativi nel mercato del lavoro: scelgono infatti non tanto materie scientifiche e ingegneristiche quanti percorsi letterari e umanistici [17] Tutta questa inattività non si traduce però in un maggiore tempo libero per le donne. Al contrario, il tempo delle donne italiane è impiegato nel sopportare in maniera preponderante i carichi di lavoro familiari, molto più che in tutto il resto d'Europa. Gli uomini italiani risultano i meno attivi del continente nel lavoro familiare, dedicando a tali attività appena 1 h 35 min della propria giornata[18]. Per lavoro familiare si intende sia le attività domestiche (cucinare, pulire la casa, fare il bucato etc.), sia le attività di cura dei bambini e degli adulti conviventi. Si stima che il 76,2 per cento del lavoro familiare delle coppie sia ancora a carico delle donne. Considerando i tempi di lavoro totale, cioè la somma del tempo dedicato al lavoro retribuito e di quello dedicato al lavoro familiare, le donne lavorano sempre più dei loro partner. Una donna con una occupazione tra 25 e 44 anni senza figli lavora giornalmente 53 min in più del suo partner; se però ci sono i figli la differenza aumenta ad 1 h 02 min più del partner. Persino le madri non occupate lavorano più dei loro partner (8 h 15 m contro 7 h 48 m)[19]. Una conseguenza di questa disparità è che le lavoratrici italiane dormono meno che in tutti gli altri paesi europei e hanno poco tempo da dedicare allo svago[18]. I dati dimostrano che le lavoratrici donne sembrano orientate a lavori meno usuranti e meno pericolosi rispetto agli uomini. Il tasso di mortalità sul lavoro è di circa 11 punti per milione; quello maschile si attesta a circa 86 unità per milione[13]. Inoltre le donne occupate che lavorano la sera sono il 16% contro il 25% dei loro colleghi uomini. Le donne occupare che lavorano la notte sono solo il 7% contro il 14% dei loro colleghi uomini[13]. Nella pubblica amministrazione italiana le lavoratrici donne sono poco più della metà del totale[20], grazie alla preponderanza femminile tra gli insegnanti soprattutto nella scuola di base. In tale settore si nota tuttavia una netta prevalenza maschile nelle qualifiche più elevate: ogni 100 dirigenti generali si contano solo 11 donne[20]. Le retribuzioni degli uomini in Italia sono superiori mediamente a quelle delle donne: nel 2004 ad esempio il monte salari maschile (reddito complessivamente percepito dagli uomini italiani) era superiore di circa il 7% rispetto a quello femminile, mentre nel 2010 questo divario è arrivato al 20%[19]. Questo si verifica perché l'occupazione femminile è concentrata su lavori a più bassa retribuzione[21] e perché a parità di mansioni gli stipendi maschili sono, seppur leggermente (del 2%), superiori[22]. Le donne inoltre hanno minori possibilità di beneficiare delle voci salariali accessorie, quali gli incentivi o lo straordinario[19]. La speranza di vita alla nascita femminile è di 5,6 anni superiore a quella maschile[23]. Le donne, inoltre, sono meno esposte ad omicidi ed aggressioni rispetto agli uomini: i decessi per tali ragioni ai danni di persone del genere femminile rappresentano circa un quarto del totale[24]. Sempre in materia di diritto di famiglia si registra che il 71% delle richieste di divorzio è presentata dal genere femminile[25]. Inoltre, in caso di divorzio, l'assegnazione della casa dove la famiglia viveva (in assenza di figli ed indipendentemente della proprietà della stessa) è attribuita alle donne nel 57% dei casi e solo nel 21% ai loro ex-mariti[25]. Nonostante il dibattito in corso relativo alla rappresentanza politica delle donne, queste ultime sono ancora poco attive nella vita politica del paese, Sul totale delle persone che hanno svolto attività gratuita per un partito politico nel corso del 2005, circa un quarto sono donne[26]. Il numero di parlamentari donne in Italia è coerente con tale tasso di partecipazione alla vita politica. Nel Parlamento italiano le donne rappresentano meno del 20% del totale (18,69% al Senato[27] e 21,43% alla Camera[28] nella XVI Legislatura) con un risultato peggiore rispetto ad esempio alla composizione del Parlamento europeo, nel quale le donne rappresentano circa il 35%[29].
|