CONFLITTO
ARABO-ISRAELIANO


Israele e i membri della Lega araba.
██ Lega araba
██ Paesi stati in guerra contro Israele
██ Israele
██ Striscia di Gaza e Cisgiordania
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Data:
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Inizio XX secolo - oggi
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Luogo:
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Medio Oriente
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Esito:
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Schieramenti
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Israele
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Lega Araba
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Il conflitto arabo-israeliano abbraccia circa un secolo di tensioni
politiche e di ostilità, sebbene lo stato
di Israele sia stato istituito solo 60 anni fa. Il conflitto, iniziato come
uno scontro politico su ambizioni territoriali a seguito della decimazione
dell'Impero ottomano, si è tramutato nel corso degli
anni da conflitto arabo-israeliano ad un più regionale conflitto israelo-palestinese, anche se il mondo arabo e Israele
restano generalmente in contrasto gli uni con gli altri sullo status di questo
territorio.
Contestualizzazione geo-politica
Al fine di comprendere a pieno tutte quelle dinamiche che, nel corso del Novecento,
hanno dato vita alla cosiddetta "questione palestinese", è
innanzi tutto necessario contestualizzare geograficamente e storicamente la
regione teatro di tali eventi e, più in generale, quella vicino-orientale.
Con Vicino Oriente (meno precisamente Medio
Oriente) si indica convenzionalmente quella zona compresa tra il Mar
Mediterraneo, l'Oceano Indiano e il Golfo
Persico, all'interno della quale vivono numerose etnie, la maggior parte
delle quali è accomunata dalla professione della religione islamica. Tale zona
fu per molti secoli parte integrante dell'Impero
Ottomano, che si caratterizzò per una politica tendenzialmente
sovranazionale, in grado di garantire una discreta autonomia ai diversi gruppi
etnici che lo componevano.
La zona assunse straordinario valore strategico (sia economico sia militare)
a partire dal 1869,
anno in cui fu aperto il canale di Suez: straordinaria opera ingegneristica
che avvicinava l'Oriente all'Occidente. Oltre a questo, nella prima metà del XX
secolo, furono scoperti immensi giacimenti petroliferi in
tutta l'area e ciò rese ancora più interessante il territorio vicino-orientale
per le potenze europee
che, bisognose di quell'elemento per la loro crescente industria,
approfittarono dei numerosi segni di fragilità dell'Impero Ottomano, nonché
dell'esito del primo conflitto mondiale per colonizzare
l'intera area, imponendo un'occupazione militare di fatto, atta a garantire lo
sfruttamento della zona da parte delle società europee. I conflitti non si sono
fermati.
Le popolazioni che vivono in tale zona sono da secoli a forte maggioranza araba ma al termine
del XIX secolo e, sempre più consistentemente nei primi anni del XX secolo, fu
consentito l'insediamento di colonie ebraiche, molte delle
quali guadagnate alla causa sionista. A partire dagli anni trenta del XX secolo, e ancor
più dopo il termine del II conflitto mondiale e la tragedia dell'Olocausto, la
Palestina vide fortemente alterata la sua composizione demografica, con la
minoranza ebraica avviata a diventare maggioranza grazie all'acquisto di
terreni reso possibile dai fondi concessi ai profughi ebrei sfuggiti alla
persecuzione nazista.
Nel 1948, a
seguito di un'apposita risoluzione delle Nazioni Unite, su tali terre fu
dichiarato lo Stato di Israele, con una prima emigrazione araba palestinese verso le
nazioni limitrofe, fortemente incrementata in seguito alla sconfitta patita nel
primo conflitto arabo-israeliano,
scatenato l'indomani della dichiarazione d'indipendenza israeliana dagli Stati
arabi dell'Egitto,
della Siria, del Libano, della Transgiordania
e dell'Iraq.
Gli
albori del problema israelo-palestinese

Theodore Herzl, promotore del
sionismo
Sul finire del XIX secolo il territorio palestinese faceva parte dei governatorati
siriani dell'Impero Ottomano ed era a sua volta suddiviso in due Sangiaccati
(province ottomane). Già nel 1887, Gerusalemme aveva ottenuto una forma di autonomia
dall'Impero Ottomano, a dimostrazione della sua politica sovraetnica
e sovraculturale. All'epoca gli Ebrei costituivano
un'esigua minoranza (23.000
persone[senza fonte]),
integrata con le altre comunità etnico-religiose e,
più in generale, con la situazione culturale del luogo.
Intorno alla metà del secolo si era però messo in moto il progetto ebraico
mirante a porre fine alla propria millenaria diaspora,
frutto di innumerevoli persecuzioni, e a rifondare la nazione permettendo il
suo ritorno alla "terra promessa", citata dalla Bibbia, dalla quale
era stata espulsa dall'Imperatore romano Tito.

Zone di influenza francese e britannica stabilite
dall'accordo Sykes-Picot
Con l'esplodere della Prima guerra mondiale e il coinvolgimento
dell'Impero Ottomano, molti furono gli israeliti che decisero di lasciare la
loro "Terra promessa" per scegliere mete diverse, innanzi tutto gli Stati Uniti, che garantivano migliori
condizioni in termini tanto economici quanto di libertà civili.
Il riconoscimento agli ebrei immigranti dall'Europa del diritto di godere di
un focolare nazionale in Palestina fu dato dall'allora Ministro degli
esteri della Gran Bretagna Arthur Balfour. Nel 1917
egli pubblicò la Dichiarazione Balfour,
con cui la Gran Bretagna
riconosceva ai sionisti
il diritto di formazione di "un focolare nazionale" (a
National home) in territorio palestinese, che venne interpretato dagli
stessi come la promessa relativa al permesso di costituire uno stato autonomo
ed indipendente. Il termine "focolare nazionale", impiegato al
posto di un più esplicito "Stato" o "Nazione", era tuttavia
ambiguo e la dichiarazione specificava anche che non dovevano essere
danneggiati i "i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche
della Palestina". L'interpretazione della Dichiarazione Balfour sarà subito causa di attriti tra la popolazione
araba preesistente (che temeva la costituzione di uno stato ebraico) e i
sionisti, che la interpretavano come l'appoggio da parte del governo britannico
al loro progetto. Gli stessi britannici, alcuni anni dopo, con il libro
bianco del 1922[6], rassicurarono la
popolazione araba sul fatto che la Jewish
National Home in Palestine
promessa nel 1917 non era da intendersi come una nazione ebraica, rimarcando
però al contempo l'importanza della comunità ebraica presente e la necessità di
una sua ulteriore espansione e del suo riconoscimento internazionale.
Con la fine della guerra, grande fu il dibattito tra le maggiori nazioni
vincitrici per decidere il futuro di queste zone, anche alla luce delle
direttive del presidente statunitense Woodrow Wilson che condannavano la costituzione di
nuove colonie. Alla fine, con gli accordi di San Remo del 1920, si optò per
l'autorizzazione da parte della Società delle Nazioni di affidare alla Gran
Bretagna e alla Francia Mandati, necessari in teoria per educare alla
"democrazia liberale" le popolazioni del disciolto Impero Ottomano.
Se la reazione delle popolazioni arabe (musulmane e cristiane) a tali
progetti fu vivace e del tutto improntata all'ostilità, diverso fu invece
l'atteggiamento del movimento sionista che, forte delle precedenti promesse
fattegli, considerò il Mandato britannico sulla Palestina il primo passo per la
futura realizzazione dell'agognato Stato ebraico.
Le proteste della popolazione araba furono ancor più esacerbate per la
violazione britannica degli accordi (anch'essi segreti) sottoscritti con lo sharīf
di Mecca, al-Husayn
b. ‘Alī, col ministro plenipotenziario di Sua Maestà Sir Henry
MacMahon, Alto Commissario in Egitto, che aveva
promesso, dopo la caduta dell'Impero Ottomano, il riconoscimento agli Arabi dei
diritti all'auto-determinazione e all'indipendenza in cambio della loro
partecipazione agli sforzi bellici anti-ottomani, e la creazione di uno
"Stato arabo" dagli imprecisati confini.
Anche se in realtà la
Gran Bretagna era stata in grado di controllare militarmente
la zona palestinese fin dal 1917, fu solo nel 1923 che il Mandato entrò
effettivamente in vigore e fin dall'inizio cominciarono a sorgere nel Paese
vari movimenti di resistenza araba che miravano, al pari dei movimenti
irredentistici italiani, all'allontanamento di tutti quanti consideravano
stranieri.
Negli anni
venti e trenta
numerose furono le dimostrazioni di protesta da parte dei movimenti
palestinesi, che sovente sfociarono in veri e propri scontri a tre tra
l'esercito di Sua Maestà britannica, i residenti arabi e i gruppi armati dei
coloni ebrei. Spesso gli attriti non erano dovuti all'immigrazione in sé, ma ai
differenti sistemi di assegnazione del terreno: gran parte della popolazione
locale per il diritto inglese non possedeva il terreno, ma per le abitudini
locali possedeva le piante che vi venivano coltivate sopra (tra cui gli alberi
di ulivo, che erano la coltura prioritaria e che, vivendo anche secoli,
divenivano dei "beni" passati di generazione in generazione nelle
famiglie), di conseguenza molti terreni usati dai contadini arabi erano ufficialmente
(per la legge inglese) senza proprietario e venivano quindi acquistati dai
coloni ebrei (o loro affidati) appena immigrati i quali, almeno in un primo
tempo, erano ignari di questa situazione.
Questo, unito alle regole con cui venivano solitamente gestiti i terreni
assegnati ai coloni (la terra doveva essere lavorata solo da lavoratori ebrei e
non poteva essere ceduta o subaffittata a non ebrei), di fatto toglieva l'unica
fonte di sostentamento e lavoro a moltissimi insediamenti arabi preesistenti.[9]
La politica di Londra tuttavia non mutò, malgrado varie condanne da parte
della stessa Società delle Nazioni. Nel 1936, grazie a uno sciopero generale di
sei mesi indetto dal Comitato Supremo Arabo, che chiedeva la fine del Mandato e
dell'immigrazione ebraica, la
Gran Bretagna, dopo tre tentativi falliti di ripartizione
delle terre in due stati indipendenti (ma Gerusalemme e la regione limitrofa
sarebbero rimasti sotto il controllo britannico), concesse d'imporre un limite
a tale immigrazione.
La decisione in realtà fu più che altro formale, visto che l'ingresso
clandestino aumentò sensibilmente anche a causa delle persecuzioni che gli
Ebrei avevano cominciato a subire da parte della Germania nazista fin dal 1933.
Londra vietò
inoltre l'ulteriore acquisto di terre, promettendo di rinunciare al suo Mandato
entro il 1949 e prospettando per quella data la fondazione di un unico Stato di
etnia mista araba-ebraica.
Verso la fine degli anni trenta, dopo la Grande Rivolta Araba e i falliti
tentativi di divisione della Palestina in due Stati, sollecitata dalla Commissione
Peel, la Gran Bretagna si pentì di aver sostenuto il
movimento sionista, che mostrava aspetti inquietanti e violenti e cominciò a
negare al sionismo quel discreto appoggio politico che fin lì aveva garantito,
producendo il "Libro Bianco" nel 1939 [11]. Ciò indusse pertanto
gli ebrei di Palestina a cercare negli Stati Uniti quello che fino ad allora
aveva concesso loro l'Impero britannico.
Con la seconda guerra mondiale gli ebrei (con
l'esclusione del gruppo della Banda Stern) si schierarono con gli Alleati mentre molti gruppi arabi guardarono con interesse l'Asse, nella speranza che una sua vittoria
servisse a liberarli dalla presenza britannica. L'esito del conflitto non valse
perciò a modificare la situazione di stallo che sfavoriva la popolazione araba,
ancora maggioritaria.
La svolta del 1947 e la nascita dello Stato israeliano

David Ben Gurion, primo ministro
alla nascita dello Stato d'Israele
Nel 1947 la Gran Bretagna,
provata dalla guerra mondiale e da una serie di attentati, tra cui l'attentato
sionista dell'Hotel "King David" di Gerusalemme (organizzato dai
futuri primi ministri israeliani Menachem Begin e David
Ben Gurion anche se quest'ultimo cambiò idea
prima che l'attentato fosse compiuto temendo troppe vittime tra i civili) e
dell'Ambasciata britannica a Roma, decise di rimettere il Mandato palestinese nelle mani
delle Nazioni
Unite, cui venne affidato il compito di risolvere l'intricata situazione.

L'ONU dovette quindi affrontare la situazione che dopo trent'anni di
controllo britannico era diventata pressoché ingestibile, visto che oramai la
popolazione ebraica costituiva un terzo dei residenti in Palestina, anche se
possedeva solo una minima parte del territorio (circa il 7% del territorio,
contro il 50% della popolazione araba e il restante in mano al governo
britannico della Palestina [1]).
Sette di queste nazioni (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Perù, Svezia, Uruguay) votarono
a favore di una soluzione con due Stati divisi e Gerusalemme sotto controllo
internazionale, tre per un unico stato federale (India, Iran, Repubblica Socialista
Federale di Jugoslavia), e una si astenne (Australia).
Il problema chiave che l'ONU si pose in quel periodo fu se i rifugiati
europei scampati alle persecuzioni naziste dovessero in qualche modo dover
essere ricollegati alla situazione in Palestina.
Nel decidere su come spartire il territorio l'UNSCOP considerò, per evitare
possibili rappresaglie da parte della popolazione araba, la necessità di radunare
tutte le zone dove i coloni ebraici erano presenti in numero significativo
(seppur spesso in minoranza [13]
) nel futuro territorio ebraico, a cui venivano aggiunte diverse zone
disabitate (per la maggior parte desertiche) in previsione di una massiccia
immigrazione dall'Europa, una volta abolite le limitazioni imposte dal governo
britannico nel 1939, per un totale del 56% del territorio.
La situazione sarebbe dunque stata ([2]):
Territorio
|
Popolazione araba
|
% Arabi
|
Popolazione ebraica
|
% Ebrei
|
Popolazione Totale
|
Stato Arabo
|
725.000
|
99%
|
10.000
|
1%
|
735.000
|
Stato Ebraico
|
407.000
|
45%
|
498.000
|
55%
|
905.000
|
Zona Internazionale
|
105.000
|
51%
|
100.000
|
49%
|
205.000
|
Totale
|
1.237.000
|
67%
|
608.000
|
33%
|
1.845.000
|
Fonte: Report of UNSCOP - 1947
|
(oltre a questo era presente una popolazione Beduina di 90.000 persone nel
territorio ebraico).
La Gran Bretagna
si astenne nella votazione e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni
del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti
e annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il 14 maggio 1948.
Il 29 novembre 1947 venne votata la risoluzione, a favore votarono 33
nazioni (Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Bielorussia, Canada, Costa Rica, Cecoslovacchia, Danimarca, Repubblica Domenicana,
Ecuador, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Olanda,
Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Panama, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia,
Svezia, Sud Africa, Ucraina, USA, URSS, Uruguay, Venezuela), contro 13
(Afghanistan, Cuba, Egitto, Grecia, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Arabia
Saudita, Siria, Turchia, Yemen), vi furono 10 astenuti (Argentina, Cile, Cina,
Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Messico,
Regno Unito, Jugoslavia) e un assente alla votazione (Thailandia).

Voti favorevoli (verde),
contrari (marrone), astenuti (giallo) e assenti (rosso) alla risoluzione 181
Le nazioni arabe fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia,
sostenendo la non competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la
ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza dei
suoi residenti, ma il ricorso fu respinto.
Cronologia degli eventi
- 1869 – Inaugurato il canale
di Suez. Da questo punto in poi il Vicino e il Medio Oriente assumono una
straordinaria importanza strategica per tutti i paesi europei interessati
ai commerci con l'Oriente, Gran Bretagna e Francia sopra tutti.
- 1897 – Congresso di Basilea,
presieduto da Theodor Herzl, e costituzione della prima Organizzazione
Sionista mondiale.
- 1917 – Nel corso della
prima guerra mondiale crolla l'Impero Ottomano. Francia e Gran Bretagna si
spartiscono i territori vicino-orientali.
- 1920 – Con i trattati di
pace che mettono ufficialmente fine al primo conflitto mondiale la regione
palestinese diviene un Mandato britannico.
- 1920 – Nasce l'Haganah, un'organizzazione paramilitare israeliana
incaricata di contrastare i nemici degli Ebrei, anche ricorrendo ad atti
intimidatori nei confronti delle popolazioni autoctone.
- 1920/1945 – La Gran Bretagna
favorisce la penetrazione sionista in Palestina, permettendo
l'immigrazione incontrollata degli ebrei e l'acquisto di terre. La
convivenza tra le popolazioni arabe locali e la componente ebraica diventa
sempre più difficile, sfociando spesso in rivolte ed atti terroristici.
- 1929 - Scontri in tutta la
Palestina e Massacro di Hebron
- 1930 - La commissione Hope Simpson raccomanda di ridurre
la massima immigrazione, e mette in guardia il governo da problemi dovuti
alla dilagante disoccupazione e perdita di terreni tra la popolazione
araba, causata dall'immigrazione ebraica incontrollata degli anni
precedenti e dalle politiche di assegnazione del territorio.
- 1931 - Nasce l'Irgun
- 1936/1939
- Grande Rivolta Araba
- 1937 - Primo tentativo da parte
della Gran Bretagna di dividere il territorio in due Stati. Ne seguiranno
altri 2 gli anni successivi
- 1939 - Libro Bianco, vengono poste ferree
limitazioni all'immigrazione regolare e la Gran Bretagna
dichiara conclusi i propri doveri nei confronti dei movimenti sionisti.
- 1940 - In disaccordo con la tregua stipulata tra
l'Irgun e le autorità britanniche viene fondato
il Lehi da Avraham Stern, che si specializzerà in attacchi
terroristici contro le forze inglesi.
- 1945 –
Si costituisce la Lega Araba ad opera di Egitto, Siria,
Arabia Saudita, Yemen, Giordania, Iraq e Libano. Successivamente aderiranno
anche Libia, Sudan, Tunisia, Marocco, Kuwait, Algeria, Somalia e altri Stati africani. L'OLP
ottiene anch'essa un seggio.
- 1946
l'attentato al King David Hotel organizzato dai gruppi armati ebraici, con
quasi 100 morti, e i continui attacchi terroristici contro i suoi militari
e diplomatici che si susseguono da ormai 10 anni, spingono la Gran Bretagna
ad annunciare l'abbandono del controllo della zona entro il 1948.
- 1947 –
L'ONU predispone un piano di divisione della Palestina in due Stati: uno
arabo (comprendente il 45% del territorio, con una popolazione ebraica
quasi nulla) e l'altro ebraico (coprendente il
55% del territorio, ma con gli ebrei maggioranza solo nella regione di Tel-Aviv e minoranza altrove), mantenendo Gerusalemme
come territorio neutrale sotto l'egida dell'ONU.
- 1947/1948
- Primi scontri sul confine tra nazioni della Lega Araba e coloni ebrei e
inizio della "puliza etnica" nei
confronti dei residenti arabi nel territorio assegnato agli ebrei da parte
dei gruppi armati ebraici (che causerà più di 100.000 profughi e alcune
centinaia di morti e porterà i coloni ad essere maggioranza nella maggior
parte del territorio a loro assegnato).
- 1948 –
Il 14 maggio, poche ore prima dello scadere del Mandato britannico, viene
dichiarata la nascita dello Stato di Israele, che verrà riconosciuto
dall'ONU e dalle nazioni principali pochi giorni dopo. I gruppi armati
dell'Haganah diviengono
l'esercito ufficiale.
- 1948 –
Gli Stati arabi rifiutano apertamente il piano dell'ONU e attaccano
Israele (I Guerra arabo-israeliana). Iniziata la guerra in svantaggio
Israele, grazie alla massiccia immigrazione e alla violazione di un
embargo durante una tregua (che gli permetterà di acquistare armamenti
dalla Cecoslovacchia) con la sua controffensiva respinge gli Arabi e
conquista tutta la Palestina (a eccezione della Striscia di Gaza e della
Cisgiordania) e la integra nei propri territori. Due tentativi di
mediazione dell'ONU comprendenti diverse spartizioni del territorio
falliscono e durante una tregua viene ucciso il mediatore Folke Bernadotte
da uomini del Lehi.
- 1956 –
Scoppia la II guerra arabo-israeliana che viene interrotta da URSS e USA.
- 1961 –
Il Kuwait diventa indipendente dalla
Gran Bretagna. L'Iraq ne rivendica, in base a dubbie argomentazioni,
l'annessione ma l'intervento militare britannico vanifica la pretesa.
- 1964 –
Costituzione dell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina)
che riunisce i maggiori gruppi nazionalisti palestinesi. Dapprima
emanazione della Lega Araba, dopo il 1967 l'OLP conquista l'autonomia e si dà una
propria linea politica.
- 1967 – III guerra
arabo-israeliana (Guerra dei sei giorni). Israele sottrae la penisola del
Sinai e la striscia di Gaza all'Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est
alla Giordania e le alture del Golan alla Siria. Gaza e Cisgiordania, con
una popolazione prevalentemente araba, costituiscono i "Territori Occupati".
- 1969 – Yasser Arafat diventa Presidente del Comitato
Esecutivo dell'OLP.
- 1970 – Guerra giordano-palestinese (settembre
nero). La Giordania espelle i fedayyin
(guerriglieri palestinesi) che spostano le loro basi nel sud del Libano.
- 1972 – Strage di settembre Nero,
un'organizzazione terroristica palestinese, a Monaco di Baviera: vengono uccisi gli
atleti israeliani partecipanti alle Olimpiadi.
- 1973 – IV guerra arabo-israeliana e nuova
sconfitta degli Arabi.
- 1975 – Scoppio della guerra civile in Libano.
- 1978 – Primo attacco in forze dell'esercito israeliano ai campi profughi
palestinesi utilizzati dall'OLP come campi d'addestramento militare.
- 1979 – Trattato di pace tra Israele e l'Egitto,
l'esercito israeliano avvia il ritiro dalla penisola del Sinai. -
Rivoluzione islamica in Iran; Khomeini assume il potere e proclama
la repubblica fondata sui principi dell'Islam.
- 1980 –
L'Iraq di Saddam Hussein aggredisce l'Iran. Inizio della guerra tra i due
paesi.
- 1981 -
Il presidente Egiziano Anwar Sadat (artefice
della pace tra Egitto ed Israele) viene ucciso da estremisti arabi.
- 1982 –
Israele invade il sud del Libano. Attacco dell'esercito del Sud Libano ai
campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila
a Beirut.
- 1984 –
L'OLP ripudia il terrorismo.
- 1985 –
Israele si ritira dal Libano ma mantiene occupata una fascia di 20 km a
sud di quel paese (tra il fiume Litani e
il fiume Awani.
- 1987 – Rivolta a Gaza e inizio
dell'intifāda palestinese (Prima Intifada).
- 1988 –
Il Consiglio Nazionale Palestinese proclama la nascita dello Stato
palestinese e contestualmente riconosce quello israeliano. Fine della
guerra iracheno-iraniana.
- 1990 –
La Siria impone al Libano la fine della guerra civile e instaura la
propria egemonia nel paese.
- 1991 –
Guerra del Golfo in risposta all'aggressione
dell'Iraq in Kuwait.
- 1992 –
Il laburista Rabin vince le elezioni in Israele.
- 1993 –
Storica stretta di mano tra Arafat e Rabin nell'iniziativa di pace
promossa dal presidente USA Clinton.
- 1994 –
L'esercito israeliano si ritira dalla
Striscia di Gaza che passa sotto la gestione dell'OLP. Rabin e re Husayn di Giordania
firmano un accordi di pace tra Israele e lo Stato giordano. Premio Nobel per la Pace a Rabin,
Arafat e al ministro degli Esteri isrealiano, Shimon Peres.
- 1995 –
Rabin viene assassinato da un estremista israeliano.
- 2000 –
Comincia la
cosiddetta Intifada al-Aqsa (Seconda Intifada).
- 2004 – Operazione Arcobaleno
- 2006 – Operazione Piogge estive
- 2008-2009 – Operazione Inverno caldo, Operazione Piombo fuso
- 2010 - Un raid aereo e navale portato dall'IDF (Israel Defense Forces), in acque internazionali,
verso un convoglio di sei navi turche (Incidente della Freedom Flotilla) nel maggio 2010 con a
bordo pacifisti che tentavano di forzare il Blocco della Striscia di Gaza
portando aiuti umanitari ed altri materiali a Gaza.
La nascita
ufficiale dei due Stati in Palestina era stata fissata dall'ONU nel 1948, ma
essa non ebbe mai luogo. Infatti, non appena i britannici ebbero lasciato la
zona, la Lega Araba, che non aveva accettato la
risoluzione dell'ONU, scatenò una guerra "di liberazione" contro
Israele.
La guerra arabo-israeliana del 1948 (per gli
israeliani "Guerra d'indipendenza, מלחמת
העצמאות, per gli arabi "al-nakba", arabo "la catastrofe") è il conflitto che portò nel 1948 allo scontro la componente ebraica della Palestina e la componente araba della
stessa regione, appoggiata quest'ultima dalle forze armate di diversi paesi
arabi del Vicino Oriente, solidali nell'intento
d'impedire - come invece comunque avvenne - la nascita dell'autoproclamato Stato d'Israele.
La fine delle
guerre arabo-israeliane avviò un timido e incerto progresso di normalizzazione
dei rapporti tra lo Stato ebraico e alcuni dei paesi limitrofi, spesso
vanificato da irrigidimenti e da nuove crisi. Nel novembre del 1977 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt
si reca in visita a Gerusalemme, avviando di fatto il processo di pace tra
Egitto ed Israele.
Il 13 luglio 2008, alla presenza di 43 capi di stato
e di governo, il presidente francese Nicolas Sarkozy lanciò l’Unione per il Mediterraneo
(UPM), con una grandiosa cerimonia che aveva l’obiettivo di sottolineare
l’importanza del traguardo raggiunto e l’influenza che il nuovo organismo
internazionale avrebbe dovuto esercitare nell’ambito dei rapporti
euro-mediterranei. 
A quasi due
anni da quell’evento, intorno alla metà del maggio scorso, i leader europei
hanno annunciato il rinvio a novembre del vertice euro-mediterraneo
inizialmente previsto per il 7 giugno a Barcellona, nell’indifferenza pressoché
generale della stampa europea e di quella dei paesi della sponda sud del
Mediterraneo.
Lo stridente
contrasto fra i due episodi sottolinea tristemente come l’UPM sembri destinata
a seguire la stessa mesta traiettoria verso l’irrilevanza internazionale che fu
percorsa dal Processo di Barcellona, il cui vertice del 2005, in occasione del
decennale dell’avvio di quel processo, fu disertato da molti leader arabi.
La ragione
ufficiale del rinvio è che si vuole dare la possibilità ai colloqui indiretti
tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di raggiungere dei
risultati concreti, i quali a loro volta darebbero ulteriore impulso ai lavori
dell’UPM.
Ma alla luce
del clima di sfiducia in cui tali colloqui sono stati avviati, e delle
ripercussioni estremamente negative che l’incidente della flottiglia di Gaza ha
avuto a livello internazionale, sembra improbabile che a novembre la situazione
possa essere migliore di quanto non appaia oggi.
La vera
ragione del rinvio del vertice è però un’altra. L’annunciata presenza del
controverso ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman aveva spinto diversi paesi arabi a dichiarare che
non avrebbero preso parte ai lavori di Barcellona, mettendo così a rischio
l’esito del vertice.
Ancora una
volta, dunque, il conflitto arabo-israeliano si rivela fatale per qualsiasi
tentativo di partnership euro-mediterranea.
In realtà il
progetto originario promosso dal presidente Sarkozy
era basato sull’idea di concentrarsi su un numero ben delimitato di progetti
concreti – come ad esempio la gestione delle risorse idriche, la creazione di
autostrade marittime per il traffico commerciale, e lo sfruttamento
dell’energia solare – proponendo una versione “alleggerita” del Processo di
Barcellona (ovvero svuotata del suo contenuto politico), proprio per evitare
che il processo di integrazione euro-mediterranea divenisse ostaggio dei numerosi
conflitti irrisolti presenti nel bacino del Mediterraneo – primo fra tutti il
conflitto arabo-israeliano.
Ma così come
il Processo di Barcellona era stato “ucciso” dallo scoppio della seconda
Intifada nel settembre del 2000, allo stesso modo l’UPM potrebbe essere stata
“uccisa” dalla guerra lanciata da Israele a Gaza tra il 2008 e il 2009.
Sull’onda
dell’enorme emozione che il bombardamento della sovraffollata enclave
palestinese, abitata da circa un milione e mezzo di persone prive di qualsiasi
via di fuga, aveva provocato in tutto il mondo arabo, gli incontri di alto
livello dell’UPM furono sospesi.
Tuttavia, se
la guerra di Gaza ha inferto all’UPM un colpo che potrebbe rivelarsi fatale per
il futuro di questo organismo, è però l’intero progetto del presidente Sarkozy che, secondo molti osservatori (soprattutto nel
mondo arabo), era viziato da gravi difetti fin dall’inizio .
Sebbene molti leader arabi si fossero recati alla cerimonia inaugurale di
Parigi con apparente entusiasmo (secondo alcuni, essenzialmente nella speranza
di fare qualche “affare” a livello economico), molti commentatori arabi avevano
bollato fin da subito il progetto come un tentativo neocoloniale volto a
riaffermare l’influenza francese in primo luogo sui paesi del Maghreb.
L’incidente della flottiglia di Gaza ha sancito l’inedita inimicizia tra Ankara e Tel Aviv,
creando una nuova faglia nel tormentato panorama della convivenza mediterranea.
Fra l’altro, la Turchia è tra i paesi che sono apparsi meno entusiasti del
progetto dell’UPM. Ad Ankara, tale progetto è stato visto come un tentativo da
parte francese di liquidare definitivamente il processo di adesione della
Turchia all’UE offrendo ai turchi una “sistemazione di ripiego” all’interno del
nuovo organismo mediterraneo proposto da Sarkozy. Ora
il deterioramento dei rapporti turco-israeliani promette di complicare
ulteriormente il panorama della partnership mediterranea.
Dopo aver fornito la scintilla che ha fatto deflagrare la crisi latente
fra la Turchia ed Israele, la questione di Gaza rischia di essere all’origine
di ulteriori tensioni nel Mediterraneo. L’allentamento del blocco economico
imposto alla Striscia non risolve il problema di un’enclave inquinata e
impoverita, alla quale è proibito intrattenere normali rapporti con il resto
del mondo.
Se Israele per il momento non ne vuole sapere di togliere l’embargo una
volta per tutte, l’Egitto dal canto suo non vuole in alcun modo che il peso di
Gaza e dei suoi abitanti ricada sulle sue spalle. E’ opinione di numerosi
analisti che le politiche israeliane di questi anni abbiano puntato a spezzare
qualsiasi legame tra la Cisgiordania e Gaza. Molti esponenti politici in Egitto
ritengono che Tel Aviv voglia coronare queste politiche con uno sforzo volto a
sbarazzarsi delle proprie responsabilità di potenza occupante nei confronti
della Striscia, facendo di tutto per spingere il regime egiziano ad aprire il
proprio confine con Gaza e ad assumersi la responsabilità della popolazione che
vi risiede.
D’altra parte per il Cairo Gaza rappresenta una minaccia alla propria stabilità interna,
sia perché Hamas è un movimento islamico che ha legami con la potente
opposizione interna dei Fratelli Musulmani, sia perché la tragica situazione
dei palestinesi schiaccia il regime egiziano “tra l’incudine e il martello”,
rappresentati rispettivamente dall’opinione pubblica egiziana ed araba, e dal
rapporto di dipendenza che il Cairo ha con gli Stati Uniti e (indirettamente)
con Israele.
L’ingiustizia è apparsa ancor più rilevante agli arabi perché Israele ha
aderito all’OCSE sulla base di statistiche che includono nella propria
popolazione anche i coloni che vivono negli insediamenti della Cisgiordania
occupata – illegali in base al diritto internazionale – mentre escludono la
popolazione palestinese.
Dunque, se per Israele l’ingresso nell’OCSE ha rappresentato un
importante segno di legittimazione internazionale in qualità di paese avanzato,
per gli arabi ciò ha rappresentato invece una legittimazione dell’occupazione
israeliana ai danni dei palestinesi.
Molti commentatori hanno fatto rilevare che l’adesione di un paese che si
rifiuta di definire una volta per tutte dei confini che delimitino chiaramente
il proprio territorio, e che ha un atteggiamento discriminatorio nei confronti
della popolazione palestinese che in tale territorio risiede, rappresenta una palese violazione dei principi su cui l’OCSE si fonda – in
particolare il rispetto dei diritti umani e la promozione della democrazia.


