Poeti
del 1300
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Francesco Petrarca
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saggio muta consiglio, ma lo stolto resta della sua opinione. »
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(F. Petrarca, Ecloghe,
VIII)
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Francesco Petrarca
Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374) è stato uno scrittore e poeta italiano. L'opera
per la quale Petrarca
è universalmente noto è il Canzoniere. Molto importante è anche il
"Secretum
in cui Petrarca dialoga con S.Agostino. Petrarca, nonostante si considerasse
soprattutto, come tutti gli eruditi del suo tempo, un autore di lingua latina,
svolse un ruolo essenziale per lo sviluppo della poesia italiana in volgare.
L'opera lirica di Petrarca, come è stato sottolineato dalla critica, somma
infatti in sé tutte le esperienze della poesia italiana delle origini,
compiendo tuttavia una selezione dal punto di vista della metrica
(stabilendo ad esempio precise regole sull'accentazione degli endecasillabi
che all'epoca di Dante
era ancora meno codificata) e negli argomenti (escludendo dal canone tematico
gli elementi goliardici e realistici che nel Duecento erano stati presenti e
che continuavano ad avere successo nel Trecento) che influenzò fortemente tutta
la poesia a venire. Il fenomeno del petrarchismo
costituisce uno dei capitoli più complessi nella storia delle tradizioni
letterarie europee.
Note biografiche

Ritratto di Francesco Petrarca, Altichiero,
1376 circa.
Nacque ad Arezzo
il 20 luglio
1304, da Eletta
Cangiani (o Canigiani) e dal notaio ser Pietro di ser Parenzo di ser Garzo dell'Incisa
(soprannominato Ser Petracco, noto nei documenti come Petraccolus o Petrarca,
da cui il cognome del figliolo). Ser Petracco apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi[1] e fu amico
di Dante Alighieri, esiliato da Firenze nel 1302 per motivi
politici, legati all'arrivo di Carlo
di Valois ed alle lotte tra guelfi bianchi e neri. È curioso a questo
proposito notare come la sentenza del 10 marzo 1302 con la quale Cante
Gabrielli da Gubbio,
podestà
di Firenze, condannava Ser Petracco all'esilio, sia la stessa con la quale a Dante
Alighieri veniva ingiunto di seguire lo stesso fato: una sentenza, quindi,
destinata ad influenzare profondamente la storia della letteratura italiana.
A causa dell'esilio paterno, il giovane Francesco trascorse l'infanzia in Toscana (prima ad
Incisa e poi ad Arezzo e a Pisa), dove il padre
era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. Ma già nel 1311 la famiglia (nel
frattempo era nato nel 1307 il fratello Gherardo) si trasferì a Carpentras,
vicino Avignone
(Francia),
dove Petracco sperava di ottenere incarichi presso la corte papale.
Malgrado le inclinazioni letterarie, manifestate precocemente nello studio
dei classici e in componimenti d'occasione, Francesco, dopo gli studi
grammaticali compiuti sotto la guida di Convenevole da Prato, venne mandato dal padre
prima a Montpellier
e dal 1320, insieme a Gherardo, a Bologna per studiare diritto
civile. Qui, probabilmente, Francesco venne per la prima volta in contatto
con la tradizione poetica italiana.
Morto il padre, poco dopo il rientro in Provenza (1326), Petrarca, come
lui stesso racconterà sia nelle lettere sia in poesia, incontrò il 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, Laura
e se ne innamorò. Un amore autentico per una donna reale (come insistette il
poeta nelle sue confessioni), del quale non restano tuttavia dati documentati:
come apprendiamo dalle opere di Petrarca, questo amore non venne ricambiato e
assurse tra i motivi centrali dell'esperienza umana e poetica dello scrittore.
Fin dalle antiche vite di Petrarca è stata proposta l'identificazione di Laura
con Laura de Noves, coniugata con Ugo de Sade. Attorno al 1330, consumato il
modesto patrimonio paterno, Petrarca si diede alla carriera ecclesiastica,
abbracciando gli ordini minori. In questo periodo fu assunto quale cappellano
di famiglia dal cardinale Giovanni Colonna, fratello di Giacomo Colonna, anch'esso
amico del poeta, nominato vescovo di Lombez nel 1330. Come lui stesso scrisse
in una lettera al fratello, trascorse il periodo avignonese negli studi, senza
peraltro trascurare i piaceri mondani; proprio da due relazioni avute nel 1337
e nel 1343 nacquero i figli Giovanni e Francesca, che legittimò solo in
seguito, curandone la sistemazione economica e l'educazione.
Appoggiato da questa illustre e potente famiglia romana (fu amico anche di
Stefano e Giovanni Colonna), compì in quegli anni numerosi viaggi in Europa, spinto
dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che
contrassegna l'intera sua agitata biografia: fu
a Parigi, a Gand, a Liegi (dove scoprì
due orazioni di Cicerone), ad Aquisgrana,
a Colonia, a Lione.
Ad Avignone e ritorno

Ritratto di Petrarca di Altichiero
Parallelamente alla formazione culturale classica e patristica, cresceva il
suo prestigio in campo politico: nel 1335 ebbe inizio il suo carteggio con il Papa, inteso non solo a
sedare le più incresciose rivolte della penisola, ma
anche a ottenere il ritorno della sede pontificia da Avignone a Roma, affinché
si mettesse fine alla cosiddetta cattività avignonese.
A questo periodo (1336-1337) risalgono anche
la prima visita dell'Urbe, il trasferimento da Avignone a Valchiusa,
attualmente Fontaine-de-Vaucluse nel dipartimento francese
della Vaucluse,
dove aveva acquistato una casa e la nascita di un figlio naturale, Giovanni, che morì poi
in giovane età. All'anno successivo rimonta il progetto delle opere
umanisticamente più impegnate, la cui parziale stesura, dell'Africa
in particolare, gli procurò tale notorietà che contemporaneamente (il 1º
settembre 1340) gli
giunse da Parigi e da Roma
il desiderato invito dell'incoronazione poetica.
Scelta Roma,
preparata l'orazione per la solenne cerimonia, Petrarca scese in Italia a Napoli[2],
ove, sotto il patrocinio del re Roberto D'Angiò, lesse alcuni episodi del poema e
discusse, in tre giornate, di poesia, dell'arte poetica e della laurea: l'8
aprile del 1341, per
mano del senatore Orso dell'Anguillara, veniva incoronato a Roma
magnus poeta et historicus, e otteneva il privilegium laureae.
Questo altissimo riconoscimento, che sarà al centro della battaglia
combattuta da Petrarca per il rinnovamento umanistico della cultura, lo
confortò a proseguire la stesura dell'Africa, ospite di Azzo
da Correggio a Parma
e a Selvapiana,
in Valdenza,
sino al 1342.
Altri eventi turbarono la sua vita a Valchiusa: come la conoscenza di Cola
di Rienzo, alle cui istanze Petrarca ottenne dal Papa la promessa della
proclamazione, nel 1350,
del giubileo
romano, la monacazione (tra i certosini di Montreux-Jeune)
di Gherardo, la nascita (da una misteriosa relazione) di una figlia
illegittima, Francesca.
Da Napoli a Milano

Statua di Petrarca, Uffizi a Firenze
Verso la fine del 1343
ritornò, per incarico del Papa, a Napoli, ripassò da Parma e si recò, infine, a
causa della guerra che turbava l'Emilia, a Verona, dove scoprì i primi sedici libri delle
"Epistole" ad Attico e le "Epistole" a Quinto e a Bruto di Cicerone. Dall'autunno del 1344 al 1347 risiedette a
Valchiusa, donde lo distolse l'entusiastica adesione alla rivolta di Cola, ben
presto smorzata amaramente dagli eventi, quando già aveva varcato le Alpi.
Rinunciò al viaggio romano e si arrestò a Parma, dove lo raggiunse la
notizia (19 maggio 1348) della morte di Laura, colpita dalla peste
così come gli amici Sennuccio del Bene, Giovanni Colonna, Francesco degli Albizzi.
Lasciata Parma, Petrarca riprese a vagabondare per l'Italia (fu a Carpi e a Ferrara, a Padova su invito di
Francesco da Carrara, a Mantova, a Firenze, ove rinnovò i legami amicali con Giovanni Boccaccio e altri letterati toscani, e
a Roma), fino al 1351,
quando, rifiutata ogni altra offerta, rientrò (anche su pressione papale) in
Provenza, donde scrisse le prime Epistole a Carlo IV di Boemia perché scendesse in Italia a
sedare le rivolte cittadine.
Nel giugno del 1353,
in seguito alle aspre e pungenti polemiche ingaggiate con l'ambiente
ecclesiastico e culturale di Avignone, Petrarca lasciò definitivamente la
Provenza e accolse l'ospitale offerta di Giovanni
Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano[3].
Malgrado le critiche di amici e nemici, che gli rimproveravano la scelta di
mettersi al servizio di un signore che avrebbe presumibilmente limitato la sua
libertà, collaborò con missioni e ambascerie (a Genova, a Venezia e a Novara, incontrò
l'imperatore a Mantova e a Praga) all'intraprendente politica viscontea, cercando di
indirizzarla verso la distensione e la pace.
In Italia, fino alla
morte
Nel giugno del 1359
per sfuggire la peste abbandonò Milano per Padova e poi (1362) per Venezia, dove
la Repubblica Veneta gli donò una casa in cambio
della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca,
che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa, alla città
lagunare. Si tratta della prima testimonianza di un progetto di
"bibliotheca publica".[4].
Il tranquillo soggiorno veneziano, trascorso fra libri e amici, fu turbato nel 1367 dall'attacco
maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro
filosofi
averroisti: amareggiato per l'indifferenza dei veneziani, Petrarca, dopo
alcuni brevi viaggi, accolse l'invito di Francesco da Carrara e si stabilì a Padova,
donde, di lì a poco (1370),
si trasferì con i suoi libri ad Arquà,
un tranquillo paese sui colli Euganei, nel quale, per generoso dono del tiranno padovano,
si era costruito una modesta casa. Tra le famiglie padovane che gli furono più
vicine ci fu quella dei Peraga e in particolare con i due fratelli frati
Bonsembiante e Bonaventura Badoer Peraga. Da Arquà (dove l'aveva raggiunto la figlia Francesca
assieme al marito Francescuolo da Brossano) si mosse di rado: una volta per
sfuggire alla guerra scoppiata tra Padova e Venezia, un'altra per pronunciare
una solenne orazione che ratificava la pace tra le due città venete. Tanto che
rifiutò la nomina a diventare segretario papale ad Avignogne con la conseguente
carica di cardinale.
Colpito da una sincope, morì ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio
del 1374,
esattamente alla vigilia del suo settantesimo compleanno e, secondo la
leggenda, mentre esaminava un testo di Virgilio, come
auspicato in una lettera al Boccaccio[5].
Il frate dell'Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino Bonaventura Badoer Peraga fu scelto, da
tutte le autorità, per tessere l'orazione funebre a nome di tutti. Per volontà
testamentaria, le spoglie di Petrarca furono sepolte nella chiesa parrocchiale
del paese; furono poi collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla
chiesa.
Opere
Opere latine in
versi

Francesco Petrarca (Andrea del Castagno, Ciclo degli uomini e donne illustri)
- Africa – scritto fra il 1339 e il 1342 e
in seguito corretto e ritoccato è un poema eroico incompleto che tratta
della seconda guerra punica e in particolare
delle gesta di Scipione.
- Bucolicum carmen – composto fra il 1346 e
il 1357 e costituito da dodici egloghe, gli argomenti spaziano fra amore,
politica e morale.
- Epistole metricae - scritte fra il 1333
e il 1361, sono 66 lettere in esametri, di cui alcune trattano d'amore ma
in maggioranza si occupano di politica, morale o di materie letterarie.
Alcune sono autobiografiche.
- Carmina varia - Si
ricompone un materiale testuale disperso in vari luoghi:
1-6: F. Petrarchae, Poemata
minora quae extant omnia, vol. III, Medioelani 1834.
7-24: K. Burdach, Von Mitteralter zur Reformation.
IV. Aus Petrarcas Altestem Deutschen Schülerkreise, Berlin 1929.
25: E.H. Wilkins, The Making
of the "Canzoniere" and other petrarchan Studies, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura 1951, pp.303.
26: G. Billanovich, Un carme
ignoto del Petrarca, "Studi petrarcheschi", V (1989) pp.101-25.
Opere latine in
prosa
- De viris illustribus -
(1337) è una raccolta di biografie di uomini illustri in prosa latina
redatta a partire dal 1337 e dedicata a Francesco da Carrara signore di Padova
nel 1358. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la
vita di personaggi della storia di Roma da Romolo a Tito, ma arrivò solo fino a Nerone. In
seguito Petrarca aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e
arrivando a Ercole.
L'opera rimase incompiuta e fu continuata da un amico di Petrarca, Lombardo
della Seta, fino alla vita di Traiano.
- Rerum memorandarum libri - (1350)
raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo di educazione morale.
- Itinerarium ad
sepulcrum Domini, descrizione dei luoghi che si incontrano viaggiando
da Genova a Gerusalemme.
- Secretum
o De secreto conflictu curarum mearum - (composta tra il 1347 ed il
1353, ed in seguito riveduta) è un'opera in prosa latina, articolata come
un dialogo immaginario in tre libri tra il poeta stesso e Sant'Agostino,
alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità. Si
tratta di una sorte di esame di coscienza personale nel quale si affrontano
temi intimi del poeta e per questo non sembra essere stato concepito per
la divulgazione (da cui, forse, il titolo Secretum).
Il primo libro tratta del male in generale e conclude, appunto secondo il
pensiero agostiniano, che esso non esiste, ma è causato da un'insufficiente
volontà di bene, causata dalle passioni terrene che annebbiano lo spirito:
Petrarca stesso non può non guarire, ma non vuole (per questo si è soliti
affermare che la sua malattia è una "voluptas dolendi", una voglia
nel contempo di liberarsi dall'accidia, ma continuare a conviverci, perché era
questa la "scusa" dietro cui l'autore si nascondeva e rifugiava
spesso).
Nel secondo libro vengono analizzate le passioni negative del Petrarca
stesso, tra le quali egli si sofferma soprattutto sull'accidia che lo tormenta,
sottolineando di essere affetto dalle colpe di tutti i peccati capitali, tranne
l'invidia (era stato più volte accusato di invidiare il Sommo Poeta Dante, accuse che
cercò immediatamente di dissipare).
Nel terzo si esaminano altre due passioni del poeta, in particolare l'amore
per Laura e l'amore per la gloria, considerate le due più gravi colpe di
Petrarca, che gli impediscono di raggiungere l'equilibrio spirituale cui tanto
aspirava: per quanto il poeta dia ragione a Sant'Agostino che gli consiglia di
rinunciarvi, egli però non sa come poterne fare a meno.
- De vita solitaria - (1346-1356 circa) Il
De vita Solitaria ("la vita solitaria") è un trattato di
carattere religioso e morale. Fu elaborato nel 1346 ma successivamente
ampliato nel 1353 e nel 1366. L'autore vi esalta la solitudine, tema caro
anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva
non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca
contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e
alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri
intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che
favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco
dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in
contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la
saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in
perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata
l'espressione di "umanesimo cristiano" di Petrarca.
- De otio religioso - (1346 – 1356) è un
trattato in prosa latina, redatto all'incirca tra il 1346 e il 1356 ed è
un'esaltazione della vita monastica. Simile al De vita solitaria,
esalta la solitudine in particolare quella legata alle regole degli ordini
religiosi (otium = tranquillità di spirito), definita come la
migliore condizione di vita possibile.
- De remediis utriusque fortunae
- (1360–1366) è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina,
redatta all'incirca tra il 1360 e il 1366 ed composta da 254 scambi di
battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione",
poi il "Dolore" e la "Ragione".
Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi dialoghi hanno
scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i
colpi della Fortuna sia buona che avversa.
- Invectivarum contra
medicum quendam libri IV - (1355)
- De sui ipsius et multorum
ignorantia - (1368)
- Invectiva contra
cuiusdam anonimi Galli calumnia o Contra eum qui maledixit
Italiam
- Epistole
(Familiares, Seniles, Sine nomine, Variae)
- De gestis Cesaris
- Psalmi penitentiales
- Posteritati -
epistola esclusa per sua stessa volontà dalla raccolta Seniles, in
cui il Petrarca si descrive per i posteri con gli attributi che poi
saranno propri dell'umanista (cioè il recupero della civiltà classica e
l'amore per il latino)
- Contra quendam magni
status hominem
- Collatio laureationis
- Collatio coram Johanne
rege
- Collatio inter
Scipionem, Alexandrum, Hannibalem
- Arringhe
- Orationes
- Testamentum
Raccolte epistolari
Di estrema importanza le epistole latine. Raccolte "d'autore"
delle lettere inviate da Petrarca, disposte in ordine cronologico, le epistole
contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica che il poeta stesso ha
voluto offrire di sé ai posteri. Petrarca infatti tendeva sempre a offrire di
sé una figura ideale. Le epistole per essere inserite nelle raccolte venivano
ricorrette e formalmente revisionate. Non si esclude che alcune siano state
scritte ex novo in vista della pubblicazione. Le raccolte di epistole
petrarchesche sono note come Familiares, Seniles e il Sine
nomine liber, contenente epistole di natura politica e polemica che
miravano a tenere nascosto il nome dell'interlocutore; infine le Variae
(titolo con cui gli studiosi designano tutte le lettere che Petrarca non inserì
nelle altre raccolte).
Opere in volgare
- Il Canzoniere (titolo originale: Francisci
Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta) è la storia
poetica della vita interiore del Petrarca. La raccolta comprende 366
componimenti: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali
[NB.- Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti poetici del
Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime
(dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri
manoscritti].
La maggior parte delle rime del Canzoniere è di argomento amoroso; una
trentina è invece di argomento morale, religioso o politico. Sono celebri le
canzoni Italia mia
e Spirto
gentil nelle quali il concetto di patria si identifica con la
bellezza della terra natale, sognata libera dalle lotte fratricide e dalle
milizie mercenarie. Fra le canzoni più celebri ricordiamo anche Chiare, fresche et dolci acque e
tra i sonetti Solo et pensoso.
La raccolta è stata comunemente divisa dagli editori moderni in due parti:
rime in vita e rime in morte di Madonna Laura. In realtà il Petrarca curò ben
nove stesure successive del Canzoniere, includendovi rime già composte fin dalla
prima giovinezza sia per Laura, sia per altre donne (ed attribuendo queste
ultime a Laura), realizzando altre rime che finse di aver scritto quando
l'amata era ancora in vita ed aggiungendone altre ancora, in modo da
rappresentare Laura come l'unico puro amore che conduce a Dio, secondo una
concezione teleologica e mistica dell'amore, quale si ritrova già nel Dante
della Vita
nova e della Commedia. Sarebbe dunque improprio far coincidere
la collocazione dei vari testi nell'opera con l'effettivo ordine cronologico
della composizione. Ciononostante, la bipartizione tra rime "in
morte" e "in vita" sembrerebbe riconducibile alla volontà
dell'autore.
L'amore per Laura è il centro intorno al quale ruota la vita spirituale,
ricchissima e originale, del Petrarca, per il quale tutto, spontaneamente,
diviene letteratura, collegandosi agli studi dei classici. Da tale substrato di
letteratura ha origine la grande poesia petrarchesca. Con il Petrarca la
letteratura diventa maestra di vita e nasce la prima lezione dell'umanesimo.
Tuttavia l'amore e l'ammirazione per i classici sono in costante tensione con
l'aspirazione ad una spiritualità immune da tentazioni terrene, quali l'amore e
la gloria, che pure i classici proponevano come mete alte e degne dell'uomo. In
Petrarca si avvertono contemporaneamente la pena per il dissidio interiore e la
ricerca della serenità: lo sconforto, il dolore, la volontà di pentimento,
divengono speranza ed anche il pianto per la morte della donna amata trascolora
nella figurazione di Laura che scende consolatrice dal cielo. Nella poesia del
Petrarca la descrizione dei sentimenti trova riscontro o contrapposizione nel
paesaggio.
Il Petrarca perfezionò le forme della tradizione lirica medievale, dai provenzali
mutuò ad esempio la forma della sestina e ne rielaborò i modi poetici. Anche la
raffigurazione della donna amata si inquadra nella tematica provenzale: Laura è
una donna spiritualmente superiore alla quale il poeta rende omaggio, ma non ha
tuttavia nulla di sovrumano; ella è modello di virtù e di bellezza, ma la sua
figura non è palpitante di vita, non ha una vera realtà; i suoi tratti umani, i
begli occhi, le trecce bionde, il dolce riso, si ripetono immutati. Tuttavia
Laura costituisce il fulcro ideale intorno al quale si dispone la vita
sentimentale del poeta. Petrarca associa il nome di Laura al lauro, simbolo
della gloria poetica, ovvero della sua più grande aspirazione; e gioca sul nome
Laura scambiandolo con l'aura (come nel sonetto 'Erano i capei d'oro a l'aura sparsi).
La seconda parte del Canzoniere si chiude con la canzone cosiddetta Alla
Vergine, nella quale il poeta implora perdono e protezione.
- I Trionfi
- Frammenti e rime
extravaganti
- Testi del Vaticano
latino 3196
L'ascesa al monte
Ventoso
Il 26
aprile del 1336
Petrarca, insieme al fratello e altri due compagni, scalarono il Monte
Ventoso (Mont Ventoux, in Provenza, 1.909
m s.l.m.). Molto più tardi egli scrisse una memoria del viaggio sotto forma di
lettera all'amico Dionigi de' Roberti da Borgo San Sepolcro, frate agostiniano
e professore di teologia e filosofia a Parigi. A quei tempi non era usuale
scalare montagne senza uno scopo pratico. Per questo il 26 aprile 1336 è considerata la
"data di nascita dell'alpinismo", ed il "Petrarca alpinista" uno
dei precursori di questo sport.
In realtà, questa ascensione è tutta basata sull'allegoria. La data stessa è
connotata da elementi allegorici.
L'ascensione al monte non è il semplice resoconto di una scalata in
compagnia, bensì una lettera di forte valore simbolico e ricca di elementi
allegorici che si ritrovano a partire dalla data. La lettera è datata 26
aprile, mentre l'anno è possibile ricavarlo dal fatto che Petrarca scrive che
sono passati dieci anni da quando ha lasciato Bologna (cosa che avvenne nel 1326).
Questa data viene fatta cadere da Petrarca nel giorno di venerdì santo e da
ciò si può dedurre che l'autore abbia voluto far cadere questa esperienza in un
giorno importante per ciascun cristiano:
la morte di Gesù Cristo. Così come Cristo deve affrontare una
salita sotto il peso della croce, allo stesso modo Petrarca deve affrontare una
salita e la croce è rappresentata dal conflitto interiore a cui è sottoposto;
l'uomo, prima ancora che il poeta, è scisso dal desiderio di congiungersi
fisicamente con Laura e il rispetto delle morali cristiane. A differenza del
fratello Gherardo, che salirà senza difficoltà, Petrarca sarà costretto
continuamente a fermarsi. Ciò non è dovuto all'esser Gherardo un alpinista
esperto, ma, in un contesto allegorico, all'esser lui, in quanto frate,
estraneo "alla pesantezza" dei beni materiali.
Vista nella sua interezza l'ascensione rappresenta, allegoricamente
parlando, la vita di Petrarca. Le asperità del terreno rappresentano le
difficoltà della vita e la cima del monte la salvezza. Tant'è
che il Petrarca, ammirando il magnifico panorama dalla cima del monte, aprendo
una pagina a caso di una minuscola copia delle Confessioni di Sant'Agostino che portava con sé, lesse
alcune parole che lo toccarono profondamente, facendogli capire la futilità
delle cose umane.
"E gli uomini - dicevano quelle parole - vanno ad ammirare le vette dei
monti e gli enormi flutti del mare, le vaste correnti dei fiumi e il giro
dell'Oceano e le rotazioni degli astri, e non si curano di se stessi".
Ma se queste parole scossero il poeta, certamente non cambiarono la sua
vita.
Dilemma sui resti

Tomba del poeta ad Arquà
Il 5 aprile
2004 vennero resi
noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella tomba del poeta ad
Arquà: il teschio presente, peraltro ridotto in frammenti, una volta
ricostruito, è stato riconosciuto come femminile e quindi non pertinente.
Inoltre un frammento di pochi grammi del cranio, inviato a Tucson in Arizona ed
esaminato con il metodo del radiocarbonio, ha consentito di accertare che il
cranio femminile ritrovato nel sepolcro risale al 1207 circa. A chi sia
appartenuto e perché si trovasse nella tomba del Petrarca è ancora un mistero,
come un mistero è dove sia finito il vero cranio del poeta. Lo scheletro è
stato invece riconosciuto come autentico: esso infatti riporta alcune costole
fratturate e Petrarca fu ferito da una cavalla con un calcio al costato.[6].


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ato ad Arezzo nel 1304, figlio di un notaio
fiorentino esiliato per motivi politici, fin da piccolo Francesco Petrarca fu
costretto a seguire i lunghi spostamenti del padre, che lo portarono prima in
altre città toscane e poi ad Avignone, in Francia, dove all’epoca si era
trasferito il Papato. Il suo primo maestro fu il dotto Convenevole di Prato,
al cui magistero seguirono gli studi giuridici, presto oscurati dalla
passione per i classici greci e latini. Dopo la morte della madre, Eletta
Cangiani, Francesco ritorna ad Avignone, dove decide di prendere gli ordini
minori, a differenza di suo fratello Gherardo che voterà invece la sua
esistenza al sacerdozio, nel monastero di Montrieux. Nel 1330, il poeta entra
al servizio del Cardinale Giovanni Colonna, ma risulta che già fosse stato
stipendiato da Giacomo, fratello del porporato. I rapporti con il Cardinale
non furono facili, nonostante Petrarca godesse nella casa di prestigio e
libertà. Giovanni volle sempre mantenere un ruolo di dominus,
atteggiamento ben diverso da quello mostrato da Giacomo, coetaneo, compagno
di studi ed intimo amico del poeta. La situazione precipitò quando Francesco
non nascose il suo sostegno nei confronti della rivoluzione antinobiliare di
Cola di Rienzo, indirizzata anche contro la famiglia Colonna;
perciò quando da Parma alla fine del luglio del 1348 giunse notizia della
morte del Cardinale, fu solo il triste epilogo di un rapporto nei fatti già
compromesso, vivo solo sotto un aspetto formale.
Il periodo 1347-1348 fu in realtà un periodo
costellato di eventi funesti. Dopo la scomparsa di Giovanni Colonna lo
raggiunse la morte di Laura, stroncata dalla peste ad Avignone nel luglio del
1348. Quando ne ebbe notizia Petrarca si trovava a Verona. Di ritorno dalla
Provenza in autunno aveva scelto come dimora la casa di Parma, città dalla
quale di sovente si spostava per recarsi in Veneto e in Emilia. Il tempo
aveva quasi completamente cancellato la sua passione per Laura, una figura
ormai viva solo in metaforizzazioni simboliche, estranea al desiderio ma già
presenza immortale nelle sue rime giovanili. L’erotismo, giunto
all’immaginario poetico, riempiva l’universo ideologico e concettuale del
poeta. È difficile stabilire quanto questi eventi abbiano inciso sull’animo
di Francesco, ma essi ebbero una forte valenza simbolica, di frattura e di
passaggio da una stagione all’altra della vita, che lo indussero a
comprendere di essere giunto a un momento esistenziale decisivo.
Viaggi ed esperienze non erano certamente
mancati in una vita in alcuni casi dispersiva, con fughe, ribellioni e prese
di posizione sostenute, però, con poca convinzione, visto il perdurare di due
punti di riferimento: Avignone e la famiglia Colonna.
Nei confronti della città francese, Petrarca
nutriva una assoluta indifferenza, trasformatasi successivamente in odio, per
il luogo ed per il tipo di vita al quale lo costringeva il potere politico
espresso dalla curia papale. Avignone, però, e di questo Francesco era
consapevole, aveva influito fortemente sulla sua formazione come luogo di
scambio politico e culturale, in un secolo denso di eventi. L’arrivo, presso
il papato di scrittori e dotti provenienti da tutta Europa favoriva il
confronto e il dibattito, unitamente alla conoscenza che si accumulava nelle
numerose biblioteche private e al fiorente mercato letterario. Tutti elementi
fondamentali per la formazione di Francesco, intellettuale lontano dalla
scuola e dalle università, orientato a un apprendimento basato
sull’interscambio personale, all’interno di circoli selezionati, e nel
contatto fisico con i libri.
I Colonna, nonostante essere al loro servizio
gli fosse pesato, furono per Francesco ugualmente importanti, dato che solo
per loro tramite gli si aprirono diverse possibilità. L’influenza della
famiglia in Francia ed in Italia era fondata su una una fitta rete di
relazioni che permisero al poeta di accedere ai luoghi dove la ricerca
storica e filologica prosperava, spalancandogli le porte di biblioteche e
ambienti altrimenti inaccessibili, per venire in possesso di volumi rari e
costosi. La stessa incoronazione sul Campidoglio di Roma nell’aprile del 1341
fu promossa dai Colonna, con un'azione prima sotterranea e poi di palese
supporto. Fu quello il momento decisivo per la consacrazione di Francesco
Petrarca nell’olimpo dei letterati più importanti e famosi d’Europa. Anche la
scoperta della città eterna si lega ai Colonna: l’essere stato accolto sotto
l’ala protettrice della famiglia gli permise di vivere a fondo l'esperienza
romana, conoscere la città, sentirsi cittadino di quella patria ideale
vagheggiata in gioventù.
Alla morte del Cardinale, nulla più lo
tratteneva ad Avignone, così non aveva impedimento alcuno a trasferirsi in
Italia, ma una scelta di quel tipo avrebbe comportato profondi rivolgimenti
con l’assunzione di nuovi punti di riferimento, ambientali, sociali e
politici. In Italia molti avevano espresso il desiderio di ospitarlo,
cosicché qualsiasi scelta doveva, per forza di cose, essere accuratamente
motivata, con la conseguenza di una nuova empasse che durò alcuni
anni.
Il mito poetico di Laura aveva oramai
esaurito le sue espansioni e metaforizzazioni simboliche, riducendosi alla
riproduzione, tra revisioni ed accorgimenti, di racconti ed immagini. Solo un
evento esterno avrebbe potuto imprimere una svolta rivitalizzante; così la
scomparsa di Laura, forse dolorosa per l’amante, stimolò invece forti
suggestioni simboliche per il poeta, costretto ora a cercare nuove vie o,
perlomeno, a ripercorrere, in altro modo, quelle già conosciute. Francesco
aveva perduto il suo universo ed ora, angosciato, cercava il futuro della
propria poesia, sospesa tra la volontà di un ritorno ad un rassicurante
passato ed un’incerta prospettiva ventura. La scelta fu di natura
intimistica: il poeta decise di raccogliere la sua produzione, ordinarla e ad
essa affidare l’immagine di sé.
Viaggiatore irrequieto, Petrarca sarà
protagonista di numerosi spostamenti tra il 1347 ed il 1351, che toccheranno
città come Parma, Verona, Padova, Mantova, piccoli centri come Carpi e
Ferrara. Grande rilevanza avrà il suo viaggio a Roma nel 1350 in occasione
del Giubileo. Durante questo viaggio, il poeta fece tappa a Firenze ed anche
ad Arezzo, circostanze che potrebbero collegarsi ad un desiderio di ritornare
alle proprie radici. Né la città dei suoi avi né quella natale suscitarono
tuttavia in lui particolari emozioni. Gli unici avvenimenti interessanti
furono l’incontro con Lapo di Castiglionchio il Vecchio e la conoscenza di Giovanni Boccaccio,
il quale diventerà il suo più importante amico. Il vero ritorno alle origini
fu il viaggio a Roma, città sempre in grado di suscitargli grandi entusiasmi,
ma assolutamente cambiata rispetto agli anni della gloriosa incoronazione in
Campidoglio, tanto da indurre Francesco ad accettare nel 1351 l’invito di
Clemente VI a tornare ad Avignone.
La Provenza ospitò Petrarca per altri due
anni, un periodo di intenso lavoro, nei quali trovò una nuova vena artistica,
ma proprio allora, improvvisa, maturò la decisione di rientrare in Italia.
Lasciata la terra di Francia nel 1353, dove non avrebbe mai più fatto
ritorno, obbedendo al suo spirito irrequieto e curioso, scelse come dimora Milano,
una città sconosciuta, dove la sua natura di uomo senza radici poteva
ritrovare nuovo vigore.
Fu però a Valchiusa che nacque in Petrarca
l’idea di raccogliere, con un criterio ordinatore e di ampliamento, le rime
sparse, sottoposte fino agli ultimi anni di vita a un'intensa attività di
edizione e di riorganizzazione, che testimonia il suo genuino interesse per
la poesia in volgare.
Il cambiamento introdotto da Petrarca si basa
fondamentalmente sull'imposizione di regole, disciplina, ordine alla poetica
contemporanea, come avveniva nel Duecento, tesaurizzando e ampliando le
potenzialità della lingua poetica toscana che Dante aveva messo in evidenza.
Saranno una serie di esclusioni a caratterizzare questo nuovo modello che
tanto influenzerà i rimatori a venire; generi, temi e lingua non dovranno mai
andare oltre uno specifico canone letterario, duttile, armonico e scevro
dalle accidentalità del parlato. La produzione originale sarebbe andata negli
anni man mano scemando, lasciando il posto ad un certosino lavoro di cesura e
ordinamento, foriero anche su questo terreno di epocali novità in quanto la
frammentarietà, tipica fino ad allora del componimento poetico, veniva
abbandonata per creare, attraverso le singole liriche, momenti intimi tra
loro collegati in un disegno complessivo morale, introspettivo e personale, a
testimonianza della propria esperienza di uomo, amante e poeta. Francesco,
però, avrà sempre presente l’originaria frammentarietà delle rime,
definendole sparse o fragmenta, pur consapevole dell’organicità
del proprio lavoro.
Nella redazione definitiva il Canzoniere
sarà formato da 366 rime, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7
ballate e 4 madrigali. L’innamoramento e la morte di Laura giustificano la
divisione dell’opera in due parti, in vita e in morte di Madonna
Laura. La prima parte è segnata da un grande numero di rime legate alla
vicenda d’amore e si conclude con un elogio di Laura, simbolicamente raffigurata
attraverso l’alloro, Arbor Victoriosa, triumfale, 263, esaltata anche
per virtù e castità. La seconda è aperta da una canzone che osserva l’errore
dell’infatuazione, I’vo pensando et nel penser m’assale, 264, a causa
della quale Francesco ha creduto, sbagliando, in un bene fatuo. È il senso
voluto imprimere da Francesco all’ordine delle sue rime a caratterizzarne la
specificità come risultato di una complessa elaborazione, con spostamenti di
collocazione dettati dagli scopi senza tenere conto della data di
composizione, ma rispondenti all’ideale sviluppo che quei frammenti dovevano
delineare, anche, se necessario, attraverso la composizione, di rime atte a
colmare i vuoti di quel disegno. La costruzione di una sorta di romanzo della
propria vita e del proprio amore, nel quale gli avvenimenti risiedessero
nelle sfumate allusioni, nascoste o visibili nelle sue rime, sempre seguendo
quel disegno specifico maturato negli anni della riflessione, il periodo
compreso tra il 1332 e il 1348: questa è l’intenzione sottesa alla creazione
da parte di Francesco Petrarca del Canzoniere.
Un medesimo criterio organico lo ritroveremo
anche nelle opere in latino che il poeta stava componendo in quello stesso
periodo, opere erudite, ispirate dalla conoscenza di testi storici e morali
degli antichi, una sorta di riproposizione del modello cristiano e letterario
delle raccolte di exempla, risalenti esse stesse a Valerio Massimo e
Svetonio autori di raccolte e biografie di personaggi illustri. Il De
viris illustribus, destinato a delineare il profilo di uomini politici e
guerrieri, come Romolo e Catone, e di personaggi biblici, quali Abramo, Mosé
ed Ercole, è l’opera nella quale il segno della nuova tendenza di Petrarca è
più forte, imprimendo nel suo percorso culturale lo spostamento dai temi
giuridici e teologici ad argomenti storici e morali atti a scandagliare la
storia e la conoscenza dell’uomo. I Rerum memorandum libri, raccolta
di aneddoti, vicina al modello di Valerio Massimo, va anch’essa in questa
direzione con una particolare attenzione all’esempio morale come guida
indispensabile per l’uomo. L’interesse storico si esprime invece nel poema in
esametri Africa, voluto per celebrare la grandezza e la gloria di
Roma, ma interrotto al IX libro. L’opera doveva avvicinarsi al modello
classico della poesia, mescolando, memore dell’insegnamento virgiliano,
motivi epici e sentimentali, intrecciando le gesta di Scipione, liberatore
della città eterna, con la tragica vicenda amorosa di Massinissa e Sofonisba.
Gli onori e la persistente passione amorosa
diverranno per Francesco uno stimolo ad interrogarsi sulla sua esistenza
terrena, minacciata dall’allontanarsi dalla prospettiva eterna, dettata dalla
cristianità. Francesco indagò la contrapposizione tra la vita contemplativa e
quella mondana, allora per lui prevalente, giungendo ad una profonda
introspezione dell’esistenza, divisa tra la gioia e la paura della morte,
temi analizzati nel Secretum, dialogo in tre libri sulla
conflittualità dei suoi sentimenti, i cui interlocutori sono Sant’Agostino e
Francesco, il poeta incapace di sradicare il male dalla sua anima, pur
conoscendone l’origine. Il Secretum è un dialogo interiore alla
presenza della verità, dove il ruolo di maestro e guida spirituale è
riservato ad Agostino, il quale rappresenta anche la coscienza stessa del
poeta che, appellandosi alle Sacre Scritture ed ai testi morali degli
antichi, osserva la vera natura del male, insito nella volontà, ma dovuto,
secondo Francesco, alla fragile natura umana sempre in balia della fatalità e
del destino che le è riservato. Il primo libro osserva gli ostacoli frapposti
inconsapevolmente dall’uomo stesso sulla strada della propria salvezza. Il
secondo libro analizza, canonicamente, i vizi capitali, puntando l’attenzione
sull’acedia-la latina aegritudo-, l’accidia, quella condizione angosciosa
causata all’uomo dal terrore della morte. Nel terzo libro il significato di
amore e gloria come beni eterni o tramiti verso la perfezione morale e
l’immortalità viene confutata, sgombrando l’animo di Francesco dalla fede in
questa effimera illusione. La contrapposizione tra la vita contemplativa ed
il materialismo esistenziale diventa nelle ultime pagine del Secretum
un problema di natura culturale e letteraria, con Francesco che si chiede se
sia ancora possibile per lui occuparsi di scrittori pagani, o metterli da
parte, intensificando il suo rivolgersi al Creatore. Petrarca confessa così
la volontà di completare gli studi eruditi, sebbene consapevole del loro
limite e del suo desiderio di santità. L’amore per i classici è per Francesco
una scelta culturale ed esistenziale, universo cui è necessaria la
contemplazione dovuta alla religione: la solitudine diventa l’impegno morale
del laico che, dedito durante la giornata a nobili occupazioni, studia, conosce
se stesso e quale ruolo gli è riservato nel mondo.
Il De vita solitaria, composto a
Valchiusa nel 1346-1347, mostra questa vita ideale, affiancandosi, e non
contrapponendosi, alla contemplazione dell’esistenza ascetica e monastica. Il
De ocio religioso, un trattato sulla vita ascetica, scaturito da una
visita al caro fratello Gherardo a Montrieux, è la consacrazione della
felicità monastica, condizione privilegiata per la tradizione cristiana.
Francesco pare anelarla quale risoluzione degli affanni, delle paure, dei
dolori e delle insicurezze dell’umanità.
Durante la difficile e complessa
rielaborazione delle rime sparse, Francesco concepì anche i Trionfi,
un poema in volgare intriso della sua riflessione ideologica, presentata
sotto forma di narrazione simbolica. Il titolo è ispirato dalle spettacolari
e successive rappresentazioni, cui il poeta immagina di assistere come in una
visione significativa sul vero senso della vita. Le parti del poema- composto
di terzine come la Commedia dantesca- sono sei, derivanti dal modello del
sommo poeta anche per l’alternarsi di personaggi e situazioni esemplari,
illustrate da una guida che accompagna Francesco in questo viaggio
immaginario. L’impianto è invece petrarchesco per quanto concerne la
disposizione delle parti, risalenti ai temi della meditazione del poeta
operata nei Rerum vulgarium Fragmenta e nel Secretum. Francesco
protrarrà la composizione dei Trionfi fino agli ultimi anni della sua
vita, conclusasi il 19 luglio del 1374 ad Arquà, sui Colli Euganei, dove si
era trasferito dal 1370 dopo che Francesco di Carrara gli aveva donato un
terreno.
Figura prestigiosa, già quando era in vita,
Petrarca ha influenzato gli intellettuali di ogni epoca, diventando il primo
fulgido esempio di una nuova, autonoma ed apprezzata professionalità, quella
del dotto finalmente abile a districarsi tra le asprezze della politica e gli
incanti del metro poetico, segnando quel passaggio epocale che ha donato
all’uomo di lettere la giusta dignità, tante volte negatagli in passato a
causa di pregiudizi antichi e senza fondamento.
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