Storia dell'arte |
Arte paleocristiana |
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Arte paleocristiana è il termine che designa la produzione artistica dei primi secoli dell'era cristiana, compresa entro limiti di spazio e di tempo convenzionali: le testimonianze più importanti risalgono in genere al III-IV secolo, poi si inizia a parlare anche di arte dei singoli centri artistici: arte bizantina, arte ravennate, ecc. L'arte paleocristiana comunque si situa nell'orbita di Roma imperiale, e ha il suo momento di massimo splendore fra i primi decenni del IV secolo e gli inizi del VI secolo, fino al 604, anno della morte di Gregorio Magno, tanto che l'ideale cristiano assunse, ai suoi inizi, le forme offerte dall'arte della tarda antichità. Una specifica iconografia cristiana si sviluppò solo gradualmente e in accordo col progredire della riflessione teologica.
Il Buon Pastore, Roma, Museo Lateranense |
Il Cristianesimo giunse a Roma probabilmente attraverso la minoranza giudaica, che teneva rapporti commerciali e culturali con la madrepatria Palestina: quando san Paolo visitò Roma nel 61 trovò una comunità cristiana già organizzata[1].
I seguaci del cristianesimo furono in primo tempo appartenenti ai ceti più poveri e gli schiavi, ma soprattutto al ceto medio romano, anche se progressivamente iniziarono a convertirsi anche famiglie di classi superiori più agiate, le quali mettevano spesso a disposizione le loro abitazioni per riunioni clandestine. Dal greco ecclesia, assemblea, nacquero le domus ecclesiae (case dell'assemblea), antesignane delle chiese. Di questi edifici di riunioni domestiche restano pochi resti archeologici, anche perché spesso, in seguito alla libertà di culto sancita dall'Editto di Costantino (313) vi furono costruite sopra basiliche.
Una conseguenza della credenza nella resurrezione dei corpi, predicata da Cristo, fu l'usanza di inumare i corpi dei defunti, in luoghi sotterranei chiamati in seguito catacombe (termine documentato dal IX secolo a proposito della Basilica Apostolorum sulla via Appia e derivato dal greco katà kymbas, presso le grotte).
L'uso di luoghi sotterranei non fu certo dettato dalle persecuzioni, poiché ci sono pervenuti ipogei anche pagani e giudaici, come quello della via Latina a Roma, risalente alla seconda metà del IV secolo. Nel III secolo Roma era già completamente organizzata per il culto cristiano, nonostante la clandestinità, con sette diaconi che sovraintendevano a sette zone distinte, a ciascuna delle quali pertineva un'area catacombale al di fuori delle mura.
L'architettura ha come spartiacque l'editto di Costantino: prima si hanno domus ecclesiae (case di privati usate come luoghi di riunione clandestini) e catacombe, dopo si iniziano ad avere le prime basiliche.
L'architettura paleocristiana, come le altre forme d'arte dei primi secoli del Cristianesimo, non inventò niente, ma adattò modelli anteriori alle esigenze ed ai simboli della nuova religione. Nemmeno le catacombe furono una peculiarità cristiana, né tantomeno furono edificate per difendersi dalle persecuzioni: esistevano già infatti catacombe pagane e giudaiche, e la preponderanza d'uso per la sepoltura dei cristiani fu dettata più che altro dalla necessità di praticare l'inumazione per la resurrezione dei corpi predicata da Gesù Cristo.
Le prime basiliche sorsero a Roma, in Terra Santa e a Costantinopoli. Inizialmente il modello fu quello della basiliche civili, dalla forma oblunga con cinque navate, copertura a capriate e presenza di una navatella ortogonale (antesignana del transetto) che, posta nella parte finale della chiesa, era usata dal vescovo e dai sacerdoti, per questo detta presbiterio. Spesso un'abside coronava il seggio del vescovo e l'altare, ripreso dalle are pagane. Attorno all'apertura a semicupola dell'abisde si trovava una struttura ad arco, detto arco trionfale, anche se non deve essere confuso con gli archi di trionfo che erano monumenti indipendenti. Le chiese paleocristiane si riconoscono per le pareti lisce e le ampie finestre che ne illuminano l'interno dalle pareti esterne o dal cleristorio (in periodi più tardi si perse infatti la capacità tecnica di fare grandi vetrate, per cui le finestre si rimpicciolirono estremamente). A partire dalla fine del IV secolo iniziarono a diffondersi anche basiliche a pianta centrale, soprattutto dedicate agli apostoli o a martiri, o ancora cappelle palatine, come la Basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli o quella di San Lorenzo a Milano.
A Roma, dopo le prime basiliche fondate da Costantino (San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano), fu il vescovo di Roma (il papa) a iniziare a commissionare nuove basiliche, a testimonianza della sua crescente importanza: San Paolo fuori le Mura, Santa Maria Maggiore (da papa Liberio, fine del IV secolo) e Santa Sabina, commissionata da Pietro Illirico verso il 425.
Ci sono giunti pochi esempi di basiliche paleocristiane intatte, per via delle continue ricostruzioni e manomissioni nei secoli, e il loro aspetto oggi è spesso legato a restauri. Tra le più importanti e significative ci sono la già citata Santa Sabina a Roma, la Basilica di Costantino a Treviri e le basiliche di Ravenna, come Sant'Apollinare in Classe.
Scena di banchetto, affresco 115x65 cm, prima metà del III secolo, catacombe di San Callisto, cunicolo dei sacramenti, Roma
Anche la pittura e il mosaico dei primi secoli del Cristianesimo derivarono i propri stilemi da correnti artistiche già in atto, legate al paganesimo o ad altre religioni, attribuendo però alle rappresentazioni altri significati.
Un esempio emblematico è quello dell'immagine del banchetto, usato già da secoli nell'arte antica specialmente in ambito funerario: divenne la rappresentazione dell'Ultima Cena e quindi simbolo della celebrazione dell'Eucarestia, la liturgia fondamentale della nuova religione. Gli elementi di similitudine tra raffigurazioni cristiane e pagane nella medesima attribuzione cronologica hanno portato ad avvalorare l'ipotesi che gli artisti lavorassero indistintamente talvolta su commissione di pagani e talvolta di cristiani. Anche lo stile delle pitture va da un iniziale realismo a forme sempre più simboliche e semplificate, in linea con l'affermazione dell'arte provinciale e plebea nella tarda antichità. Con la fine delle persecuzioni, dal 313, la pittura si fece più sfarzosa, come i coevi esempi di pittura profana.
Buon pastore seconda metà del III secolo, Catacombe di Priscilla, Roma
, cioè il divieto di raffigurare Dio secondo un passo dell'Esodo (XX, 3-5), applicato fino al III secolo, significò la necessità di usare simboli per alludere alla divinità: il sole, l'agnello, simbolo del martirio di Cristo, o il pesce, il cui nome greco (ichthys) era acronimo di "Iesus Christos Theou Yos Soter" (Gesù Cristo Salvatore figlio di Dio).Altre immagini-segno sono quelle che invece di narrare un avvenimento suggeriscono un concetto: il buon pastore, che simboleggiava la filantropia di Cristo, l'orante, simbolo di sapienza, ecc. Anche queste raffigurazioni furono mutuate da iconografie antecedenti: il pastore proviene da scene pastorali, dalle allegorie della primavera e dalle raffigurazioni di Ermes pastore, il Cristo-filosofo, deriva dalla figura del filosofo Epitteto seduto. Tutti i temi legati all'Antico Testamento vennero invece ripresi dalla precedente tradizione giudaica: pittura cristiana ed ebraica nel III secolo sono pressoché combacianti, come testimoniano gli affreschi nella sinagoga di Dura Europos in Siria (oggi al Museo Nazionale di Damasco), dove la stilizzazione formale è legata al valore simbolico delle scene.
Gradualmente la perdita di interesse verso la descrizione di avvenimenti reali porta a una standardizzazione delle scene simboliche, con un progressivo appiattimento delle figure, preponderanza di raffigurazioni frontali e perdita del senso narrativo: gli artisti infatti adesso alludono al mondo spirituale, che prescinde dall'armonia formale e dalla verosimiglianza delle forme.
Agnello che benedice i pani, metà del IV secolo, affresco 40x28cm, Catacombe di Commodilla, Roma
Fino al III secolo quindi Cristo è rappresentato unicamente da simboli: il buon pastore, l'agnello, ecc.
Il divieto di raffigurare Gesù Cristo venne meno in conseguenza del primo concilio di Nicea, quando venne definitivamente sancita la duplice natura divina e umana di Cristo, quindi Verbo incarnato uomo e dotato di fattezze umane rappresentabili. La rappresentazione dei fatti salienti della vita di Cristo divenne necessaria per la trasmissione del suo messaggio, ma non fu questa l'unica ragione: la glorificazione di Cristo si rifletteva come celebrazione indiretta degli imperatori di fede cristiana dopo l'Editto di Tessalonica. L'identificazione tra Impero e Chiesa divenne sempre più stretta, soprattutto dal V secolo quando la cristianità iniziò ad essere vista come baluardo del mondo civilizzato, contro quello barbaro.
Inizialmente Gesù veniva rappresentato imberbe: ne sono testimonianza gli affreschi nelle catacombe di Domitilla (Cristo che insegna agli apostoli) o il mosaico nella chiesa di Santa Costanza a Roma.
Il Cristo barbato è successivo e deriva da una tradizione siriaca, come un filosofo cinico. In seguito si iniziò a raffigurare anche Cristo con le insegne regali, che lo assimilava all'imperatore secondo l'iconografia imperiale romana della traditio legis, la "consegna della legge".
Pesce e pane eaucaristico,
particolare di pittura su parete 32x30, inizio del III secolo, Catacombe di San Callisto, cripta di
Lucina, Roma |
Cristo insegna agli apostoli, affresco
130x38, inizio del IV secolo, Catacombe di Domitilla,
Roma |
Cristo imberbe, dettaglio dal mosaico della Consegna della
legge, lunghezza 6,50 m, fine del IV secolo, Mausoleo di Santa Costanza, Roma |
Cristo barbato (dettaglio), affresco 60x72, fine IV-inizio V secolo, Catacombe di Commodilla,
Roma |
Sarcofago di Costantina, oggi conservato ai Musei Vaticani, in origine collocato nel suo mausoleo
Quando, nelle Catacombe, apparvero le prime testimonianze pittoriche, non esisteva ancora una scultura cristiana. Essa si sviluppò lentamente, soprattutto nella decorazione di sarcofagi destinati a personaggi dei ceti più abbienti convertiti al cristianesimo, prendendo a prestito i suoi primi temi dal simbolismo funerario pagano della scultura tardoantica. Al IV secolo appartiene la maggior parte dei sarcofagi paleocristiani noti, produzione per lo più di laboratori romani.
I sarcofagi di Sant'Elena e Costantina (madre e figlia di Costantino I) si attengono alla corrente aulica. Nel primo tuttavia si notano motivi di arte plebea quali mancanza di prospettiva e inesistenza di un credibile piano di appoggio. Sostenuto da una coppia di leoni si deduce che non era stato eseguito appositamente per la madre ma per un uomo, e questa tesi è avvalorata dalle scene di guerra rappresentate nel porfido.
Il sarcofago di Costantina, conservato nel mausoleo di Santa Costanza a Roma, invece è di carattere naturalistico e decorativo, strettamente legato ai soggetti raffigurati nella volta del deambulatorio del mausoleo stesso.
In questo sarcofago conservato presso la chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma e datato circa 260-280 d.C. è raffigurato sul fronte un continuum di scene simboliche legate al nuovo culto cristiano: (da sinistra) Giona sdraiato sotto la vigna (le cui storie proseguono sui lati), un filosofo che legge un rotolo (al centro), il Buon Pastore ed una scena di battesimo (a destra).
In particolare la predominanza data alla figura del filosofo al centro serve per alludere alla sapienza (come si trova anche in alcuni sarcofagi pagani), intesa come vera filosofia della rivelazione cristiana; l'orante invece divenne in seguito il simbolo dell'anima stessa del defunto, tanto che in alcuni casi ne riproduceva anche le sembianze.
Il Sarcofago di Stilicone si trova nella basilica di Sant'Ambrogio a Milano ed oggi è inglobato in un ambone medievale. Fu scolpito nella seconda metà del IV secolo e presenta una serie di figure allineate sullo sfondo di una città immaginaria con le architetture che incorniciano ritmatamente le teste delle figure. Al centro si trova la figura di Cristo seduto su un trono, in posa frontale e benedicente, con in mano il libro della Legge, che anticipa la successiva iconografia bizantina e medievale del Cristo-giudice.
Una nuova simbologia si riscontra nel cosiddetto Sarcofago del Buon Pastore, conservato nel Museo Pio Cristiano di Roma e risalente alla seconda metà del IV secolo. Attorno alla figura centrale del buon pastore, ingrandita, posta su un piedistallo e riprodotta anche alle due estremità, si dispone una serie di piccoli angeli vendemmiatori in una complessa rappresentazione di tralci di vite ricavati con abbondante uso del trapano. La pianta di vite, già usata in passato per raffiguarare paesaggi elegiaci e idealizzati, qui assume la simbologia di rinascita, con i ceppi apparentemente morti e i rami più alti via via più ricchi di fogliame e frutti. I grappoli richiamavano inoltre il vino dell'Eucarestia.
Sempre al Museo Pio Cristiano è conservato un altro interessante esempio di sarcofago paleocristiano con uno stile della rappresentazione continuo, il cosiddetto Sarcofago con i miracoli di Cristo, in marmo, risalente al IV secolo. In esso sono rappresentati, da sinistra: il peccato originale, il miracolo del vino, del cieco guarito e del morto resuscitato.
La figura di Cristo, senza aureola, giovane e imberbe, è rappresentata tre volte a breve distanza, in posizione pressoché identica, che ne facilita l'identificazione. Le figure appaiono strette nello spazio e si sovrappongono fisicamente le une alle altre.
Il sarcofago di Giunio Basso
Il sarcofago di Giunio Basso, sempre al Museo Pio Cristiano e in marmo (243x141 cm, seconda metà del IV secolo), ha un'impaginazione del tutto diversa, con la divisione delle scene in uno schema rigoroso scandito dalle colonnine di una ipotetica architettura che disegna due registri con cinque edicole ciascuna rappresentante delle scene della bibbia: quello inferiore vede un porticato con colonne sormontate da archi e timpani, quello superiore è architravato.
Un'iscrizione in alto è datata 359 e ricorda l'ex-console Giunio Basso convertitosi al Cristianesimo. Tra una colonna e l'altra sono ritratte scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, senza uno svolgersi continuo della narrazione, poiché ogni riquadro è fine a se stesso. Queste scene sono ricchissime di particolari e non immediate, ma complesse, destinate a colti e non alla plebe.
Esso segue ancora la corrente aulica, con una realistica resa volumetrica delle figure, e ciò è dovuto all'estrazione sociale del committente che, in quanto dignitario di corte, è ancora vicino alla tradizione del classicismo imperiale.
Una nuova iconografia che si venne affermando nel IV secolo è quella dei cosiddetti sarcofagi della passione. Tale denominazione deriva dal fatto che il soggetto delle sculture è costituito dalla passione di Cristo e dal martirio di san Pietro e san Paolo.
In un esemplare al Museo Pio Cristiano chiamato Sarcofago con monogrammi di Cristo, si trova al centro, in una rappresentazione anche questa a cinque scene scandite da colonnine, la croce con il monogramma di Cristo affiancato da due colombe, che sovrastano due soldati, guardie del sepolcro colte nel sonno dalla Resurrezione.
Crocefissione, porta di Santa Sabina
La porta lignea della basilica di Santa Sabina a Roma, risalente al V secolo, coeva anch'essa alla costruzione della chiesa, costituisce il più antico esempio di scultura lignea paleocristiana. In origine era costituita da 28 riquadri ma ne sono rimasti 18. È di legno di cipresso ed è incredibile che sia giunta sino a noi, sia pure con alcuni restauri e con l'aggiunta successiva della fascia decorativa a grappoli e foglie d'uva, che circonda i singoli riquadri. Vi sono rappresentate scene dall'Antico e dal Nuovo Testamento fra cui le storie di Mosè, di Elia, l'Epifania, i miracoli di Cristo, la Crocifissione e l'Ascensione. Nella disposizione attuale le storie sono mischiate, non c'è una parte relativa all'Antico Testamento ed una al Nuovo.
Nella porta lignea operano due artisti assai diversi fra di loro: uno di ispirazione classico-ellenistica, l'altro di ispirazione popolare tardo-antica. A questo secondo artista appartiene il riquadro della Crocifissione (che è la prima rappresentazione di Cristo fra i due ladroni). Cristo è rappresentato con dimensioni maggiori, a significare la sua superiorità morale. Non c'è nessuna ricerca prospettica, le figure poggiano su una parete che simula dei mattoni, e le croci si intuiscono solo dietro la testa e le mani dei ladroni: nei primi tempi del Cristianesimo c'era il divieto di rappresentare Cristo nel suo supplizio, fra l'altro essendo ancora vivo il ricordo della morte in croce quale pena da schiavi. Un'arte sommaria, ad intaglio secco, molto diretta, anche perché doveva essere compresa dalla plebe, in quanto luogo di culto pubblico.
Il dado sotto l'obelisco di Teodosio da Karnak, Ippodromo di Costantinopoli, Istanbul
La scelta della nuova capitale di Costantino I si basò su una serie di fattori strategici e politici: Costantino I aveva bisogno di una capitale vicina alle nuove zone nevralgiche dell'Impero, ma voleva altresì legare il proprio nome alla fondazione di una nuova città. Tutte le considerazioni strategiche spinsero la scelta verso una sede orientale, e venne individuata la città di Bisanzio, che si trovava al centro di eccellenti vie di comunicazione sia terrestri che marine verso i principali centri dell'Impero, che dominava gli stretti strategici del Bosforo e del Dardanelli e che, per la sua dislocazione al culmine di una sorta di penisola, era facilmente difendibile.
La città venne completamente rifondata: venne creato un nuovo porto, con imponenti magazzini e infrastrutture; Costantino seguì anche la costruzione del Palazzo imperiale, dell'Ippodromo, che aveva una capienza di cinquantamila spettatori seduti, dell'acquedotto, delle sedi per gli uffici amministrativi, della nuova rete stradale.
Dell'epoca del primo imperatore resta solo il circo (chiamato anche l'Ippodromo), costruito con priorità assoluta assieme alle mura. Un referente ideale fu il Circo Massimo di Roma e si ispirò ai circhi della Tetrarchia (Nicomedia
in Oriente, Milano ed Aquileia in Occidente); era straordinariamente monumentale e capiente, con una lunghezza di circa 450 metri per 120 di larghezza. Il suo ruolo andò via via trasformandosi affiancando la sua destinazione iniziale (le corse dei carri) a luogo deputato all'"epifania" imperiale, cioè all'apparizione del sovrano nella sua tribuna dalla quale si mostrava al popolo per presenziare ai giochi, circondato da quei segni di regalità e potere che dovevano apparire quasi ultraterreni, nell'accoglienza con l'acclamazione rituale della folla. Nel circo si celebravano i trionfi, si tenevano esecuzioni capitali, cerimonie e incoronazioni, e nascevano tumulti. Nel circo furono collocati vari capolavori presi un po' ovunque nell'Impero, dal tripode portato via dal tempio di Apollo a Delfi fino ai cavalli di bronzo dorato (di incerta origine ma antecedenti) che successivamente sono stati posti sul portale della basilica di San Marco a Venezia).Planimetria della chiesa dei Santi Sergio e Bacco ad Istanbul
Il foro
si trovava ad occidente, su un'altura. Era a pianta circolare e circondato da
colonne a doppio ordine. Al centro del foro si trovava un altro monumento
simbolo del potere imperiale,
Tra le chiese fondate da Costantino c'erano quella dedicata alla Santa Sapienza (la Santa Sofia, prima della riedificazione al tempo di Giustiniano che ne fece un capolavoro dell'architettura di tutti i tempi), destinata a funzionare da cattedrale, e quella dei Santi Apostoli, a pianta centrale, che divenne il mausoleo imperiale.
Per parlare di arte bizantina si deve aspettare almeno al V secolo, quando con la divisione dell'Impero romano in due tronconi, si iniziò a sviluppare una corrente artistica indipendente che aveva come centro Costantinopoli. Prima di allora anche le prove artistiche della Nuova Roma vengono fatte rientrare nelle imprese della tarda antichità o dell'arte paleocristiana.
Gli artisti di Costantinopoli si rifecero alle tendenze dell'arte tardoantica, in particolare della corrente provinciale e plebea, che aveva semplificato la raffigurazione umana, i rapporti spaziali e il naturalismo, in favore di rappresentazioni più simboliche e di comprensione più immediata. Anche l'arte paleocristiana romana, con l'attenzione più al simbolo che alla raffigurazione reale, influenzò i nuovi artisti di corte.
Mosaico pavimentale del Palazzo Imperiale di Costantinopoli
Le rappresentazioni ufficiali di imperatori e dignitari avevano da qualche tempo iniziato a preferire una iconografia frontale, senza movimento, ieratica, che dava alle figure un'apparenza astratta e irreale, quasi divina. L'identificazione dell'Imperatore e la sua corte con il mondo divino fu una corrente nata con la progressiva orientalizzazione dell'Impero e che continuò a svilupparsi successivamente.
Un esempio emblematico di rappresentazione stilizzata e semplicata si trova nel dado fatto porre al centro dell'Ippodromo di Costantinopoli da Teodosio I, come base per l'obelisco egizio proveniente da Karnak (390 circa). Sui quattro lati fu scolpita una rappresentazione dell'ippodromo e della tribuna reale, che doveva fare quasi da specchio idealizzato di ciò che le stava intorno. Teodosio, accanto ai figli e ai membri della corte imperiale, assiste ai giochi e riceve il tributo dalle popolazioni barbare. Le proporzioni modificate secondo la gerarchia dei personaggi, già riscontrabili all'epoca di Costantino, qui sono nette e indiscutibili: l'imperatore, nella rigida posizione frontale, domina tutti, mentre in basso attori e danzatrici dell'arena si muovono con vivacità, ma, sebbene si trovino più vicine all'osservatore, sono di dimensioni molto ridotte.
Non mancò però anche una spinta alla renovatio, alla ripresa di spunti naturalistici che derivavano dalla memoria ancora viva dell'arte classica e ellenistica. Si possono leggerne i risultati in opere profane come i mosaici pavimentali del grande cortile porticato del Palazzo Imperiale, dove scene bucoliche, giochi di bambini, scene di caccia e di combattimento tra animali mostruosi presentano una viva resa naturalistica, affinata dallo sfondo bianco circondato da elaborate cornici a foglie di acanto.
Il solenne interno di San Lorenzo a Milano, sebbene ricostruito nel XVI secolo, ricalcò la struttura paleocristiana
Durante la Tetrarchia la città divenne capitale di Massimiano (286-305). L'editto di Milano del 313 concedendo il culto ai cristiani segnò anche l'inizio di profonde e radicali trasformazioni, consistenti nel declino o addirittura la metodica distruzione di monumenti particolarmente invisi (l'anfiteatro) e la costruzione di basiliche e monumenti cristiani.
Il centro religioso, l'attuale piazza del Duomo, comprendeva ben due cattedrali: una basilica vetus o minor (313-315 circa, futura Santa Maria Maggiore), cattedrale "invernale" ed una basilica nova o maior (343-345 circa, poi chiesa di Santa Tecla), cattedrale "estiva". Queste basiliche sono solo in parte conosciute perché vi fu in seguito edificato sopra il Duomo di Milano. Solo della basilica nova si conosce qualcosa, trovandosi al di sotto dell'attuale sagrato: aveva una pianta longitudinale con cinque navate e il presbiterio con abside era separato dal resto della basilica da un muro divisorio, che aveva una grande apertura. In questo sito archeologico è molto importante il battistero, di forma ottagonale. È esattamente la struttura del mausoleo di Massimiano, identico a quello di Diocleziano a Spalato, mentre il battistero di San Giovanni in Laterano a Roma è circolare, quindi segna una tappa di una tipologia diffusa in area adriatica che ebbe poi molto seguito. Il battistero è costituito da una vasca d'acqua con opportune canalizzazioni per la sua alimentazione, e un edificio circostante costituito da più vani. Qui probabilmente fu battezzato Sant'Agostino.
Di pari antichità era la basilica di San Lorenzo, la quale però presentava un'inconsueta pianta a croce greca, dovuta forse al fatto di essere connessa al palazzo imperiale di Teodosio I e quindi "cappella palatina". Della chiesa paleocristiana oggi resta solo la pianta e l'alzato (nonostante la riedificazione tardo manieristica, che però ricalcò le forme antiche), dove compaiono due livelli, dominati da un matroneo che corre anche lungo le esedre ai quattro lati. In questo caso il matroneo era usato non dalle donne, ma dalla corte imperiale. Ai lati si aprono delle esedre, dalle quali si accede a una serie di sacelli esterni, o martiria, a pianta ottagonale ma di dimensioni variabili, risalenti alla fine del IV-inizio del V secolo. Particolarmente importante è il sacello est, detto di San Aquilino, dove si trova un mosaico del VI secolo con un Cristo filosofo tra i discepoli, con l'interessante fondo oro: segno che questa tecnica (in uso dal V secolo), non era una prerogativa dell'arte bizantina, anzi veniva usato anche in occidente.
La figura che dominò la vita e lo sviluppo della città fu il vescovo Sant'Ambrogio, che venne nominato al soglio episcopale a trentaquattro anni nel 373. Con lui iniziò una programma di costruzione di basiliche dedicate alle varie categorie di santi: una basilica per i profeti (dedicata poi a San Dionigi, della quale si conosce solo la localizzazione vicino ai bastioni di Porta Venezia), una per gli apostoli (la basilica di San Nazaro in Brolo), una per i martiri (martyrium, che in seguito ospitò le sue spoglie e divenne la Basilica di Sant'Ambrogio), una per le vergini (futura San Simpliciano).
La basilica oggi detta di San'Ambrogio, già basilica martyrium, consacrata nel 386, è stata completamente riedificata in epoca romanica, ma doveva avere in antico una pianta a croce latina simile a quella odierna, soprattutto per quanto riguarda il quadriportico antistante alla basilica. Dell'epoca paleocristiana resta un mosaico nel cosiddetto sacello di San Vittore in Ciel d'oro, risalente al V secolo, con il più antico ritratto di Ambrogio.
La basilica apostolorum (San Nazaro in Brolo), sempre del 386, aveva una pianta a croce greca con bracci movimentati da absidiole sui lati, che trova riscontro solo nella chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli. Davanti alla chiesa si apriva un atrio porticato.
La basilica virginum, poi dedicata al successore di Ambrogio, San Simpliciano, conserva dell'epoca paleocristiana l'aspetto esterno delle pareti, dove si aprono arcate cieche decorative, una caratteristica ripresa dalla Basilica di Costantino a Treviri. Ha una pianta a croce greca, ma il braccio del coro, con l'abside è molto più corto.
Lunetta del Buon Pastore, Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna, prima metà del V secolo.
Ultima Cena, Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna, inizio del VI secolo.
Ravenna divenne capitale imperiale nel 402, lo rimase per oltre settant'anni. La città era posta vicino al mare e inaccessibile da terra perché circondata da paludi. Era quindi considerata eccellente dal punto di vista difensivo ma (a causa dell'urgenza con cui era stata scelta) era inadeguata per ospitare l'Imperatore e la sua corte. Per questo subito si iniziarono a costruire grandi edifici anche in posizioni decentrate rispetto al nucleo più difendibile. Uno dei primi esempi dell'arte della nuova capitale è la decorazione del Battistero Neoniano, con una sfarzosa decorazione con stucchi, affreschi e marmi policromi, ma soprattutto mosaici, nella cupola. Entro tre anelli concentrici sono rappresentati vari soggetti: finte architetture, i dodici apostoli e la scena del Battesimo di Gesù con San Giovanni Battista. Le immagini presentano ancora una notevole consistenza plastica e un senso di movimento, che testimoniano gli ininterrotti rapporti con l'ambiente romano; contemporaneamente indice di rapporti con il mondo bizantino sono la vivace policromia, la monumentalità e la ieraticità delle figure.
Durante l'epoca di Galla Placidia si ebbe un vivace impulso edilizio, del quale ci restano la chiesa di San Giovanni Evangelista (interessante per gli elementi di derivazione tipicamente costantinopolitana quali i pastoforia e l'uso dei pulvini) e, soprattutto il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia, dagli intatti mosaici interni. La rappresentazione dei soggetti è ricca di colori e mostra ancora l'abilità di rendere il volume e la disposizione realistica nello spazio dei corpi, con figure in primo e in secondo piano, secondo uno stile ancora legato all'arte antica. Non mancano i richiami ai simboli cristiani, come le colombe che bevono alla fonte (simbolo delle anime cristiane che si abbeverano alla grazia divina) e i cervi.
In seguito Ravenna venne conquistata da Teodorico, re degli Ostrogoti, nel 476, il quale raddoppiò gli edifici di culto per il suo popolo che seguiva la fede ariana. Venne costruita una nuova cattedrale (oggi quasi priva di tracce del passato), un Battistero ed una nuova chiesa palatina, Sant'Apollinare Nuovo, nella quale ci è pervenuto uno straordinario ciclo musivo, organizzato sulle tre fasce delle pareti sugli archi che delimitano le navate, dove si vede un progressivo avvicinarsi a rappresentazioni più simboliche e meno verosimili. Sono caratteristiche tipiche di questo passaggio lo spazio e i volumi semplificati, la postura delle figure ieraticamente frontale e il sacrale fondo oro, che fu una caratteristica dominante anche del successivo periodo bizantino.
Architettura paleocristiana |
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L'architettura paleocristiana, cioè dei primi secoli del Cristianesimo, ha una data spartiacque fra due periodi contrapposti: l'editto di Milano del 313 da parte dell'imperatore Costantino, che permise la libertà di culto per i cristiani e fu quindi possibile da questo momento in poi erigere edifici pubblici per la liturgia.
Fino ad allora infatti il culto cristiano era considerato religione illecita nell'Impero Romano e quindi le riunioni di fedeli avvenivano specialmente in case private, chiamate Domus ecclesiae. Le uniche architetture cristiane anteriori al IV secolo (a parte i rari scavi che hanno riportato alla luce domus ecclesiae, essendo queste spesso coperte da chiese successive) sono le strutture ipogee dette in seguito catacombe.
Indice ·
4 Note |
catacombe di San Sebastiano, Roma
Le catacombe non nacquero per esigenze di difesa dalle persecuzioni, anzi sono state ritrovate anche catacombe pagane e giudaiche. Fu piuttosto l'esigenza di inumare i defunti, secondo la dottrina della resurrezione predicata da Gesù Cristo, a far sì che i cristiani usassero in maniera preponderante le sepolture sotterranee.
A Roma già nel III secolo, prima della fine della clandestinità, esistevano sette zone diaconali ciascuna con la propria zona catacombale al di fuori della mura. I nomi dati alle catacombe potevano derivare da quelli dei proprietari del terreno (come le catacombe di Priscilla), o di martiri ivi sepolti.
I tracciati irregolari seguivano la struttura geologica del terreno scavato (molto spesso tufo), con più piani sovrapposti. Gli ambulacri (le lunghe gallerie) di larghezza media sugli 80-90 cm ed altezza vicina ai 250 cm, erano in antico chiamate criptae e talvolta vi si aprivano camere sepolcrali più vaste chiamate cubicula. I cubicula avevano spesso una pianta a forma poligonale e vi erano sepolti personaggi più facoltosi o più venerati; spesso vi si trovano tombe ad arcosolio, cioè urne chiuse sormontate da una nicchia coperta da un arco. I sepolcri sovrapposti si chiamavano loci o loculi e la fila verticale di loculi su una parete veniva chiamata pila.
Con la liberalizzazione del culto in epoca costantiniana si pose il problema di quale forma dare agli edifici della nuova religione. Le domus ecclesiae erano insufficienti per il numero dei nuovi adepti e i templi classici, oltre che vestigia di religione aborrita dai cristiani, erano strutturati per funzioni all'aperto e non avevano spazi interni sufficienti per le funzioni del nuovo culto, essendo le naos destinate ad ospitare solo la statua del Dio e semmai i sacerdoti.
La messa, codificata proprio nel IV secolo, richiedeva degli edifici monumentali, che vennero costruiti usando come modello la basilica romana[1], cioè un edificio non legato alla religione e polifunzionale, strutturato in modo semplice.
Affresco riproducente l'antico aspetto della Basilica di San Pietro in Vaticano in epoca costantiniana
La basilica cristiana mantiene infatti la planimetria rettangolare e la suddivisione in tre navate, spostando però l'accesso su un lato corto (a differenza di quella romana che lo aveva spesso sul lato più lungo) e mantenendo l'abside solo sul lato opposto[2]. Tale rotazione crea uno spazio inedito, fortemente direzionato e prospettico, che indirizza a dirigersi e rivolgersi verso l'abside, solitamente orientata, dove venne posizionato l'altare, ripreso dalle are pagane, che divenne il centro focale dell'architettura. Un testo attribuito a Clemente I, ma forse del IV secolo, recita a proposito della costruzione della basiliche:
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« [Preghiamo
Dio] che ascese sopra il cielo dei cieli verso oriente, ricordando l'antica
passione per il Paradiso, posto a oriente, da dove il primo uomo,
disobbedendo a Dio, persuaso dal consiglio del serpente, fu
cacciato. » |
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L'oriente era quindi il luogo dove si trova il Paradiso e dove si trova anche Cristo, che tornando sulla terra proverrà da tale direzione. Nello stesso testo si recita come il seggio del vescovo debba stare al centro, affiancato dai sacerdoti, e che i diaconi abbiano la cura di disporre in zone separate i laici, divisi tra uomini e donne; nel mezzo, in un luogo rialzato, doveva stare il lettore dei testi sacri.
La basilica paleocristiana presentava anche elementi nuovi come il transetto che comunque iniziò ad essere adottato solo in un secondo momento e nei primi secoli fu piuttosto raro, anche se presente nella la primitiva basilica di San Pietro in Vaticano, quale navata trasversale disposta davanti al presbiterio, che dà alla basilica la forma planimetrica di una croce, anche con valore simbolico.
La prima basilica cristiana fu probabilmente San Giovanni in Laterano, costruita su un terreno donato da Costantino stesso dopo l'editto di Milano, con una struttura a cinque navate divise da quattro file di colonne. Circa cinque anni più tardi fu iniziata quella di San Pietro in Vaticano.
Uno degli elementi tipici delle prime basiliche era la presenza di un atrium, esterno alla basilica, o di un quadriportico o nartece: essi erano usati dai catecumeni, cioè i non battezzati, che potevano assistere solo alla prima parte della messa, durante la quale si leggevano i testi sacri, per poi dover uscire. Non esistendo il sacramento della confessione, il battesimo veniva infatti normalmente dato solo agli adulti, e spesso in un'età avanzata che "lavasse" tutti i peccati fino ad allora commessi. Antiche basiliche con quadriportico erano San Pietro in Vaticano o la basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme (fatta costruire da Sant'Elena durante il suo viaggio in Terra Santa).
La navata centrale era più alta di quelle laterali ed era in genere coperta da un soffitto ligneo a capriate, talvolta coperte da cassettoni, come nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Le navate laterali avevano soffitti più bassi, per questo la facciata aveva in genere un profilo a capanna con lati spioventi, detti salienti. La copiosa illuminazione era garantita dalle finestre che si aprivano nella parte superiore della navata centrale, proprio nella porzione che svettava sulle navate laterali, detta cleristorio, o sulle navate laterali stesse. I colonnati che dividevano le navate erano più spesso achitravati (basilica di Santa Maria Maggiore) piuttosto che composti da sequenze di archi.
Tra le basiliche più importanti del IV secolo vi sono quelle promosse dall'imperatore stesso o dalla sua famiglia, come le quattro basiliche patriarcali di Roma e di Gerusalemme, e quelle più tarde di Milano e di Ravenna.
L'interno tipicamente paleocristiano della Basilica di Santa Sabina, a Roma
Le basiliche in Terra Santa, in particolare, presentavano caratteri specifici legati a particolari esigenze di culto: quella del Santo Sepolcro inglobava il tempietto che ospitava le spoglie di Cristo, prima al centro di un porticato, poi al di sotto di una cupola, dalla quale si accedeva a un cortile porticato che portava alla basilica vera e propria, preceduta a sua volta da un quadriportico.
A Betlemme la basilica della Natività aveva una zona a base ottagonale al posto dell'abside, dove era conservata la Grotta di Cristo, con la pietra della natività, dove secondo la tradizione venne partorito Gesù.
Ci sono giunti pochi esempi di basiliche paleocristiane, per via delle continue ricostruzioni e manomissioni nei secoli, e il loro aspetto oggi è spesso legato a restauri. Tra le più importanti e significative ci sono Santa Sabina a Roma e le basiliche di Ravenna, come Sant'Apollinare in Classe. Una basilica originale, in quanto non nata come luogo di culto, è la Basilica di Costantino a Treviri, caratterizzata sia dall'aula unica di eccezionale grandezza, sia dal primo esempio di decorazione esterna delle pareti, tramite grandi arcate cieche nelle quali erano inserite finestre a due livelli diversi.
la pianta del battistero lateranense
Contemporaneamente alle basiliche l'architettura paleocristiana vide l'erezione di edifici a pianta centrale, circolare o ottagonale, quasi sempre coperti a cupola. Tra tali edifici troviamo battisteri, mausolei, martyrion, costruiti sopra i luoghi di sepoltura di martiri e ospitanti famose reliquie, le basiliche palatine, destinate all'imperatore e la sua corte, come la basilica di San Lorenzo a Milano, che era provvista di un matroneo usato dalla corte e correlata da sacelli lungo gli assi laterali.
Anche i modelli di queste tipologie sono stati rintracciati nell'architettura romana ed in particolare nei mausolei, nel Pantheon, nei templi monopteri e nei ninfei tardo romani[3]. Inoltre negli edifici a pianta centrale, sono maggiormente riscontrabili i caratteri dell'architettura tardo antica caratterizzata dalla valorizzazione costruttiva e visiva delle masse murarie e delle volte e da spazi dinamici ed illuminati in modo contrastato.
Tra gli esempi romani si posso citare il mausoleo di Santa Costanza, il battistero lateranense e Santo Stefano Rotondo; ad oriente da ricordare la chiesa costruita da Costantino ad Antiochia e chiamata Domus Aurea, oggi non più esistente.
Arte paleocristiana
L?arte che si è sviluppata nei primi
secoli del cristianesimo (tra il II e il VI secolo
d.C.) sul territorio dell?Impero Romano viene
denominata arte paleocristiana. Come è noto il cristianesimo ha subito nei
primi secoli delle persecuzioni. Il contrasto con lo Stato era dovuto al
rifiuto da parte dei cristiani di adattarsi al formalismo ritualistico che
imponeva una serie di cerimonie propiziatorie per la sicurezza della res publica e in
particolare il culto dell?imperatore. In questo periodo
l?arte cristiana in Occidente mostra profondi legami con l?arte del
tardo-impero: nella cultura romana degli ultimi secoli viene rappresentata
sempre di più, ed in modo solenne, la figura idealizzata, dell?imperatore
che, incarnando un?autorità non più soltanto umana, viene divinizzato. Le
immagini del tardo impero acquistano così un valore simbolico e la diffusione
del Cristianesimo, che usa immagini simboliche, viene agevolata proprio da
questa abitudine, ormai radicata nella cultura, a considerare l?immagine come
portatrice di significati che vanno oltre ciò che rappresentano. Dopo l?editto
di Milano (313 d.c.) tutto cambia: la nuova politica costantiniana fa
raggiungere livelli di massa alla produzione artistica d?ispirazione cristiana,
che si arricchisce di nuovi motivi. L?arte cristiana si esprime ufficialmente
ed artisti abili ed apprezzati decorano le basiliche con episodi biblici e
scene della vita dei Santi, attraverso immagini assai curate nella composizione
e negli accostamenti di colore. Ma soprattutto nelle opere monumentali
cominciano a definirsi nuovi spazi architettonici con funzioni precise,
differenziate e inedite. Nella concezione cristiana, la morte rappresenta il
passaggio alla vita eterna, alla piena comunione con il Padre creatore. In
continuità con la tradizione ebraica, anche i cristiani non bruciano sul rogo i
cadaveri dei defunti (incinerazione), ma li seppelliscono sottoterra, in
sarcofagi o in loculi scavati nel terreno. Dal II secolo d.C. vengono così
realizzate a Napoli, a Siracusa, a Roma, nell?Africa
settentrionale delle grandi necropoli: sottoterra i cristiani scavarono dei
cunicoli disposti su più piani, in modo da poter ospitare centinaia di salme.
Questi coemeteria (da koimào,
dormo) sono comunemente conosciuti come catacombe, dal nome del cimitero
più famoso nel Medioevo, che si trovava sulla via Appia, nella località
chiamata Ad catacumbas. Sulle pareti delle
gallerie i loculi per le salme, scavati nel tufo, sono rinchiusi con tegole o
lastre di marmo; una semplice moneta, alcune iscrizioni o frammenti di vetro
disposti in modo opportuno, servono a contraddistinguere una sepoltura dall?altra. I sepolcri dei martiri sono più grandi e
maggiormente decorati. Le gallerie che costituiscono le catacombe convergono,
in alcuni punti, verso piccoli ambienti, le cripte (dal greco kryptos, luogo coperto e nascosto) destinate a
funzioni religiose e riunioni collettive. La decorazione delle pareti, sempre
ad affresco, è riservata prevalentemente a questi ambienti. Nei rilievi e negli
affreschi cristiani si utilizzano i motivi ornamentali e i temi della pittura
parietale romana: in essi, però, vengono trasferiti i contenuti del nuovo culto
e vengono utilizzate quelle immagini che meglio si prestano ad assumere
significati cristiani. Ad esempio una vittoria alata può diventare la
rappresentazione di un angelo; una scena di banchetto diventa ?l?ultima cena?;
i motivi naturalistici legati al mito di Bacco e che rappresentano foglie e
grappoli d?uva, diventano simbolo del messaggio evangelico (? Io sono la
vite, voi siete i tralci [Giovanni 15 (1-11)]).
Architettura
Anche
per quanto riguarda l?architettura i cristiani utilizzano tecniche costruttive
e modelli di edifici del mondo romano. Le primi sedi cristiane anteriori all?editto di Costantino vengono definite domus ecclesiae.
Gli esempi più interessanti sono conservati a Quirqbize,
in Siria, e a Dura Europos, una piccola città al
confine siriano dell?impero romano. La domus di Dura Europos
consiste in una piccola casa a un piano con un cortile, sul quale si affacciano
alcune stanze: una sala che può contenere cinquanta-sessanta
persone, nella quale era collocata la cattedra del vescovo, una seconda grande
la metà forse destinata ai catecumeni. Una di tali stanze aveva il soffitto
decorato di stelle e una vasca sormontata da una volta a botte ugualmente
decorata di stelle, mentre nella lunetta era il Buon Pastore con il gregge; su
una parete i resti di una composizione con tre donne con una face che avviano
verso
Pittura
I dipinti delle catacombe costituiscono le prime forme dell?arte cristiana. Il cristianesimo aveva elaborato un patrimonio di immagini che esprimevano concetti morali in cui potevano identificarsi uomini e donne indipendentemente dalla loro religione. Così l?immagine del pastore con la pecora sulle spalle (il Buon Pastore) esprimeva l?amore verso il prossimo; l?Uomo con un rotulo e accanto la musa, l?ispirazione a una vita armoniosa e la speranza della pace nell?aldilà. Sono eseguiti ad affresco, con una pennellata rapida, sommaria, secondo lo stile compendario romano. Le figure appaiono quasi abbozzate, su fondi bianchi o molto chiari, com?era richiesto da luoghi privi di luce. Dal III secolo d.C. i temi neutri si mescolano ad altri che in maniera molto semplificata alludono ai miracoli di Cristo: un uomo in preghiera in piedi dentro una cassa è sufficiente ad evocare il diluvio universale e l?arca; la colomba di Noè esprime la fine del diluvio e dunque il patto di Dio con l?uomo. Fino al IV secolo prevale nella pittura murale una committenza popolare e un?esecuzione povera. I temi biblici sono enunciati in maniera molto sintetica, non narrativa; i soggetti prediletti sono quelli della giustizia e dell?aiuto divino, mentre più rare sono le rappresentazioni della vita cristiana. Si evita inoltre di dare un?immagine reale del Cristo: la Moltiplicazione dei pani è raffigurata con un agnello che con una bacchetta tocca una serie di cesti.
Dopo l?editto di Milano la situazione muta. Sorgono
nelle catacombe tombe sontuose addirittura rivestite di marmi e mosaici. I mosaici
rappresentano la pittura paleocristiana del IV e V secolo: in un primo
tempo le figure spiccano su fondi celesti; di pari passo si abbandona
gradatamente l?effetto di rilievo per ricercare effetti di colore, appiattendo
le immagini: un modo di creare un?atmosfera soprannaturale. Il più antico
mosaico pervenutoci a Roma è quello della volta anulare del Mausoleo di
Santa Costanza. Vi sono rappresentate delle tralci di vite, che nascendo
dal terreno, stendono sulla volta i loro rami carichi di grappoli in un motivo
di girali. Su i due lati vi sono altre scene di vendemmia: carri colmi d?uva,
trainati dai buoi e guidati da putti, si avvicinano verso edicolette
entro le quali, gli altri putti pigiano con i piedi l?uva raccolta. Da un lato
è rappresentato un evento ricorrente, il lento scorrere della vita nei campi, dall?altro viene sottolineata la forza vitale del vino
spremuto, in un?analogia fra il vino e il sangue versato da Cristo per la
salvezza dell?uomo.
Dopo il 313 il repertorio d?immagini nelle
catacombe si allarga a dismisura. La trasformazione più profonda tocca
l?immagine di Cristo. Dal maestro giovane, vestito d?una tunica e una toga
bianca, si passa verso gli ultimi anni del secolo alla raffigurazione d?un uomo
maturo, con la barba, esemplato sul tipo tradizionale
del filosofo, con veste di porpora e manto, sandali d?oro. Non siede più su una
roccia, ma su un trono tempestato di gemme e ai suoi piedi ha una pedana. E? il
Signore, re dei re, cui spettano le insigne di imperatore. Nello stesso tempo,
però, in avori intagliati o in sculture come quelle della porta di Santa Sabina,
troviamo la rappresentazione realistica della Passione, dove Cristo appare come
il primo dei martiri. Ci si avvia così verso il culto dei santi e una
considerazione per un dio onnipotente e remoto, che caratterizza l?arte e la
spiritualità medievali.
Scultura
La scultura paleocristiana si manifesta soprattutto nei bassorilievi e
negli altorilievi dei sarcofagi. Essi riprendono il modello romano della
cassa funeraria marmorea, il cui coperchio è a forma di tetto o di volta a
botte. Insieme alle decorazioni naturalistiche o geometriche usate anche dai
pagani, vengono rappresentate le immagini del Buon Pastore, dei profeti, di
Cristo che consegna le leggi divine agli apostoli Pietro e Paolo. Oltre a
quelli ornati con raffinatezza, e destinati a personaggi di rilievo, esiste una
vasta produzione di sarcofagi realizzati in modo meno accurato; in essi la
testa della figura centrale viene appena abbozzata, per essere completata,
successivamente, con le fattezze del defunto a cui è destinata.
L'arte paleocristiana, figlia delle prime
comunità cristiane, si crea e si sviluppa in tutte le regioni interessate dalla
nuova religione in territorio Romano, in un periodo compreso tra il I e il VI secolo d.C. In un primo periodo essa evidenzia in Occidente
i suoi legami con l'arte del tardo-impero.
L'arte romana era fortemente orientata alla propaganda di ideologie politiche e
civili e influenzò con ogni probabilità le espressioni artistiche
paleocristiane proprio in relazione alle comuni esigenze del cristianesimo di
trovare un modo di propagandare le proprie ideologie religiose ed etiche.
Sappiamo ad esempio che nella cultura romana degli ultimi secoli veniva
rappresentata in modo solenne, la figura dell'imperatore e che, in seguito a
ciò, anche le immagini del tardo impero avevano acquistato un valore simbolico;
ebbene questa consuetudine ha spinto i primi cristiani a considerare l'immagine
come portatrice di significati simbolici, e fu di sicuro ereditata da Roma.
L'arte cristiana nasce con la consapevolezza del potere evocativo delle
immagini. L'utilizzo dell'immagine per diffondere i contenuti della nascente
religione, è azione consapevole, sin dall'inizio della sua diffusione. In
questa fase in cui l'arte funziona come linguaggio, si può dire che l'arte
paleocristiana non ne inventa uno suo ma, mirando ad una massima ed immediata
divulgazione, si affida a quel linguaggio sperimentato utilizzato dai romani.
La prima arte paleocristiana non differisce per questo stilisticamente
dall'arte romana, ma anzi ne imita volutamente gli schemi compositivi, oltre
che le tecniche esecutive. I primi cristiani prendono a riferimento
l'iconografia pagana e traducono alcuni simboli in chiave cristiana: le scene
di apoteosi diventano la rappresentazione dell'ascensione, e l'iconografia
pastorale si presta alla rappresentazione del Buon Pastore. Ma anche il rituale
di corte suggerisce immagini, che vengono riprese: l'imperatore e l'imperatrice
sul trono sono la Vergine e il Cristo.
L'arte figurativa ampiamente utilizzata, ebbe una funzione di comunicare a
coloro che non potevano apprendere la dottrina dalle scritture, ma che,
guardando le immagini sacre, potevano conoscere la nuova religione e di
insegnare i fondamenti e i precetti della nuova religione ad un più ampio
pubblico possibile. Il cristianesimo proponeva l'esistenza dell'anima come pura
ed eterna sostanza spirituale e il corpo come contenitore, con il conseguente
passaggio in arte dalla esaltazione della forma alla predominanza del
contenuto.
Dal II secolo d.C. cominciano ad essere realizzate, a Roma come nell'Africa
settentrionale, a Napoli come a Siracusa le prime necropoli paleocristiane.
Nella concezione religiosa del cristianesimo la morte da sempre ha
rappresentato il passaggio alla vita eterna, per cui i cristiani decisero di
seppellire i loro morti, in sarcofagi o in loculi scavati nel terreno, ciò
richiese la costruzione delle prime catacombe, - il nome è tratto dalla
località -chiamata Ad catacumbas- dove si trovava il cimitero sulla
via Appia famoso nel Medioevo, e che consistevano in dei coemeteria.
Le catacombe furono utilizzate anche per celebrare i primi riti, nascostamente,
visto le persecuzioni a causa delle quali le prime espressioni figurative
dell'arte paleocristiana sono realizzate nascostamente. I dipinti delle
catacombe, costituiscono le prime forme dell'arte cristiana: si tratta
prevalentemente di decorazioni parietali, sempre eseguite ad affresco, in cui
si utilizzano i motivi ornamentali e i temi della pittura romana. Queste prime
espressioni artistiche prediligono quei repertori figurativi che meglio si
adattano ad essere utilizzate per assumere significati cristiani. Nell'arte
delle catacombe si espresse quel passaggio da una rappresentazione di forme e
volumi del corpo umano verso un espressionismo che conduceva piuttosto al
richiamare la vita interiore dell'uomo e ci si rivolse alle figurazioni
dell'arte popolare antimonumentale.
Si trasformano, come accennato, i simboli pagani in quel repertorio che diverrà
dell'arte cristiana. Ad esempio il susseguirsi delle stagioni, inventano
simbolo della resurrezione. La nave che presso i pagani era simbolo di
prosperità in relazione alla metafora del viaggio della vita, diventa il
simbolo della chiesa. Ecco così gli amorini pagani diventare degli angioletti e
la vittoria alata la rappresentazione di un angelo oppure utilizzare gli
antichi motivi naturalistici legati al culto di Bacco, come simboli iconici
nell'ambito del messaggio evangelico.
Questa operazione di reinterpretazione in chiave cristiana di un repertorio
simbolico di immagini appartenenti al mondo pagano e la trasformazione
dell'immagine in simbolo sono tra gli aspetti più singolari dell'arte
paleocristiana, anche se c'è da dire che elementi allegorici erano comunque già
presenti nella produzione artistica precedente. Dal III secolo d.C. i temi
cominciano a riferirsi ad i miracoli di Gesù Cristo, e fino al IV secolo i temi
biblici sono espressi in maniera sintetica.
In una prima fase si evita di dare un'immagine concreta di rappresentazione del
Cristo e, si utilizzano immagini simboliche, come l'agnello. Solo alla fine del
II sec. d. C. cominciano ad apparire simboli originali di ispirazione
cristiana: appare Il pesce come simbolo stesso del Cristo, da ichthus, che vuol dire scomposto in lettere: Gesù Cristo
Figlio di Dio Salvatore. Anche la moltiplicazione dei pani viene letta come il
simbolo del banchetto eucaristico, e l'adorazione dei Magi, come ad indicare
l'ammissione alla fede cristiana di chi proviene dal paganesimo.
I primi dipinti dell'arte paleocristiana sono realizzati con la tecnica
dell'affresco; ciò conferisce una particolare spontaneità dovuta all'esigenza
di immediatezza della tecnica stessa, secondo lo stile compendiario romano. Le
pennellate sono rapide, le figure quasi abbozzate e appaiono su fondi molto
chiari.
Dopo il 313, anno in cui, con l'editto di Costantino, la religione non fu più
perseguitata dalla legge romana, nelle espressioni artistiche si perviene ad
una sostanziale svolta che vede l'arte dei primi cristiani, finora confinata in
luoghi nascosti come le catacombe, ufficializzarsi e diffondersi in espressioni
diverse. Anche il repertorio d'immagini nelle catacombe si arricchisce: il
Cristo, ad es. da giovane maestro vestito d'una semplice tunica bianca, diventa
adesso una immagine solenne con la barba, la veste porpora e il manto. Non
siede più su una roccia ma su un trono preziosamente decorato.
La scultura paleocristiana si manifesterà prevalentemente nei bassorilievi e
negli altorilievi dei sarcofagi. Essi riprenderanno il modello romano della
cassa funeraria marmorea e si mescoleranno motivi naturalistici e geometrici
pagani.
I mosaici rappresenteranno inoltre la produzione caratteristica paleocristiana
del IV e V secolo. In un primo tempo presenteranno figure in contrasto con
sfondi celesti. Successivamente si abbandonerà l'effetto di rilievo per effetti
di colore, le figure si appiattiranno per evocare l'idea del divino e
soprannaturale.
Uno degli esempi più belli e carichi di valori simbolici è il mosaico della
volta anulare del Mausoleo di Santa Costanza; frutto della politica di
Costantino che agevola la produzione artistica d'ispirazione cristiana, che si
può adesso arricchire di nuovi motivi, presenta tralci di vite che si stendono
sulla volta carichi di grappoli in un motivo di girali, scene di vendemmia con
carri colmi d'uva, trainati dai buoi e guidati da putti. Inoltre nel complesso
figurativo altri putti pigiano con i piedi l'uva raccolta in una costante
analogia fra il vino e il sangue versato da Cristo per la salvezza dell'uomo.
L'arte cristiana che si esprime ora ufficialmente, incoraggia la formazione di
abili artisti che decorano le basiliche con episodi biblici e scene della vita
dei Santi, attraverso immagini ora visibilmente curate negli accostamenti
cromatici e nei caratteri compositivi.
Rappresentazione artistica del Dio cristiano. Incisione su legno, da Die Bibel in Bildern di Julius Schnorr von Carolsfeld, 1860
Nelle religioni e nei sistemi ontologici teisti, con il termine Dio si indica una divinità, ovvero un essere soprannaturale e immortale, trascendente o immanente: l'unica divinità, nei monoteismi, o una divinità principale, nei politeismi. Il rapporto dell'essere umano con Dio, nelle sue varie forme, costituisce la manifestazione più comune della religione.
Molto spesso Dio è concepito come il creatore e il custode dell'Universo, altre volte come la ragione o il logos dell'universo stesso, com'è nei panteismi. Le differenti teologie hanno ascritto a Dio vari attributi, i più comuni dei quali sono: onniscienza, onnipotenza, onnipresenza, perfetta bontà (onnibenevolenza), semplicità, esistenza eterna e necessaria. Dio è stato anche pensato come un essere incorporeo, personale, fonte di ogni obbligazione morale, e come «il sommo esistente pensabile».
L'esistenza di Dio e l'inesistenza di Dio sono da molti secoli oggetto dell'indagine e della discussione filosofica e teologica e le ragioni addotte a favore dell'una o dell'altra tesi sono numerose e svariate. Il punto dirimente sta nel fatto di considerare la divinità come un'entità personalizzata e volente, oppure come un'entita impersonale e necessitata-necessitante. Nel primo caso ci troviamo nell'ambito dei monoteismi, nei secondi in quello dei panteismi, e infatti vi è chi ha chimamato la divinità monoteistica Dio-Volontà e quella panteistica Dio-Necessità.
Ciò che accomuna le visioni monoteiste e quelle panteiste è comunque l'esistenza di un disegno intelligente che ha dato corso alla nascita del cosmo e ne ha pilotata l'evoluzione in senso progressivo e migliorativo per arrivare alla fine all'uomo. Che ciò sia avvenuto all'origine (come ha rivelato Dio stesso) o attraverso successive trasformazioni (comprensibili con la ragione umana) il risultato è sempre una espunzione della casualità dall'orizzonte ontologico. In questo senso l'indeterminazione quantistica nella fisica delle particelle e la casualità delle mutazioni genetiche in biologia ha reso fortemente discutibile la tesi del disegno intelligente, che in quanto tale prevede l'esistenza di un'Intelligenza divina, che nel caso dei panteismi può anche essere vista come una Dea-Natura.
Indice ·
5 Corrispondenze tra etruschi,
greci e romani ·
18
Note |
Il termine "Dio" deriva dal latino deus (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, di divus-"splendente" e dies-"giorno") proveniente dal termine indoeuropeo ricostruito *deiwos.
Il termine "Dio" è connesso quindi con la radice indoeuropea: *div/*dev/*diu/*dei, che ha il valore di "luminoso, splendente, brillante, accecante" collegati ad analogo significato con il sanscrito dyáuh.
Allo stesso modo si confronti il greco δῖος e il genitivo di Ζεύς [Zeus] è Διός [Diòs], il sanscrito dèvas, l'aggettivo latino divus, l'ittita šiu.
La radice indoeuropea da cui viene divus e successivamente "dio" significa "luce"; tale appellativo si spiega con il fatto che in origine l'epiteto di "luminoso" indicava la manifestazione degli Dei indoeuropei del cielo che si manifestavano sia con la luce del giorno, sia con la luce del lampo (come più tardi i romani Iuppiter Lucetius e Iuppiter Fulgurator)[1][2].
Distribuzione statistica sulla credenza di Dio in Europa
Nelle religioni e filosofie monoteiste, Dio rappresenta l'essere supremo, eterno e infinito, creatore o generatore dell'universo, e in questa accezione viene indicato con l'iniziale maiuscola. In particolare, nelle religioni abramitiche e in alcune religioni orientali, a Dio viene attribuito carattere personale e a lui è associata una rivelazione pubblica.
Nelle religioni politeiste, con dio (generalmente indicato con la lettera minuscola, perlomeno in Occidente) si intende una delle entità superiori all'uomo, innanzitutto in potenza, in sapienza e spesso in moralità, quasi sempre (ma non necessariamente) immortale. In questo caso spesso viene ulteriormente identificato con il nome proprio: ad esempio nella religione greca e nella relativa mitologia il dio Apollo, la dea Atena, ecc.
Nel panteismo Dio è il principio razionale che permea il cosmo in ogni sua parte e gli è quindi immanente. In ambito occidentale un panteismo come quello di Spinoza è stato definito da Hegel "acosmistico", perché nega realtà al cosmo che esiste solo "in Dio" e non di per se stesso. Questo atteggiamento teologico è spesso definito anche panenteismo.
Il deismo è una teologia nata nel XVII secolo in Gran Bretagna e poi giunta in Europa trovando cultori soprattutto in Francia (tra essi Voltaire e Rousseau). Il deismo è caratterizzato dalla negazione della rivelazione e la visione di un divinità razionale e provvedente che mette in secondo piano il culto e si concentra sull'interpretazione filosofica di Dio.
L'ateismo è un qualunque sistema ontologico al cui interno non vi sia alcun soggetto dotato di proprietà superiori o soprannaturali; per un ateo il termine dio è privo di denotato fisico e indica una figura fittizia dotata di alcune proprietà superiori o soprannaturali, riguardata pertanto come frutto dell'elaborazione mentale o dell'immaginazione.
Nell'Antica Grecia dominava, perlomeno nella tradizione, il politeismo. La visione divina era prevalentemente antropomorfa e gli dèi condividevano con gli uomini virtù e vizi.[3] Secondo i greci, in realtà gli dèi non sono differenti dagli uomini,[4] che spesso si dimostrano più forti o più intelligenti di essi; la vera differenza che contraddistingue gli dèi è la loro immortalità (ἀθανασία, athanasìa); proprio per questo gli uomini vengono definiti, in contrapposizione agli dèi, mortali (θανάσιμοι, thanàsimoi).
I Greci si posero anche il problema dell'esistenza di Dio. Numerosi filosofi si occuparono, più o meno indirettamente, della questione. Nei presocratici ad esempio la filosofia naturalistica, che dominava sulle altre, spesso condusse alla ricerca di un principio primo o archè, sia nei filosofi di Mileto che in Eraclito, oppure ad un Essere come negli eleati (Parmenide su tutti). Anassagora riteneva l'universo mosso da un'intelligenza suprema (Nous
), mentre Democrito sembrava non contemplare l'idea di un disegno divino nel cosmo.Socrate, come riporta Senofonte nei Memorabili, fu particolarmente votato all'indagine sul divino: svincolandolo da ogni interpretazione precedente, lo volle caratterizzare come "bene", "intelligenza" e "provvidenza" per l'uomo.[5] Egli affermava di credere in una particolare divinità, figlia degli dèi tradizionali, che indicava come dáimōn: uno spirito-guida senza il quale ogni presunzione di sapere è vana. In Socrate infatti ricorre spesso il tema della sapienza divina più volte contrapposta all'ignoranza umana.[6] Concetto ribadito anche a conclusione della sua Apologia:
|
« Ma
ecco è l'ora di andare, per me di andare a morire, e per voi di continuare a
vivere; chi di noi vada verso un migliore destino è oscuro a tutti, fuori che
a Dio. » |
|
(Platone, Apologia
di Socrate, 42 a) |
Aristotele giungerà a dimostrare la necessità filosofica di Dio come motore immobile, causa prima non causata. Egli suddivideva le scienze in tre rami:
Secondo Aristotele solo il divino è vero essendo «fisso e immutabile»; l'essere vero, come già in Parmenide e Platone, è ciò che è «necessario», perfetto, quindi stabile, non soggetto a mutamenti di nessun genere. Il divenire invece è una forma inferiore di realtà che si può anche studiare, ma non conduce ad alcun sapere universale.
|
« Se
esiste qualcosa di eterno ed immobile separabile dalla materia, è evidente
che la conoscenza di esso concerne una scienza teoretica che non è la fisica
né la matematica, ma di una scienza superiore, la teologia.
[...] Se la divinità è presente in qualche luogo, essa è presente in una
natura siffatta [eterna e immutabile], ed è indispensabile che la
scienza più veneranda si occupi del genere più venerando. » |
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(Aristotele, Metafisica,
Libro VI, 1°, 1026 a) |
La filosofia nel senso più alto era quindi da lui intesa solo come "scienza del divino", ovvero «scienza dell'essere in quanto essere»[8], distinto dall'«essere per accidente»[9] che concerne la semplice realtà naturale e percepibile. Ad esempio la filosofia naturalistica come quella di Talete e Anassimandro, di Leucippo e di Democrito, era per lui solo una forma di sotto-conoscenza dell'accidentale, del precario e del particolare.
|
«
Il primo motore dunque è un essere necessariamente esistente e in quanto la
sua esistenza è necessaria si identifica col Bene, e sotto tale profilo è
principio assoluto. [...] Se perciò Dio è sempre in uno stato di beatitudine,
che noi conosciamo solo qualche volta, un tale stato è meraviglioso, e se la
beatitudine di Dio è ancora maggiore essa deve essere oggetto di meraviglia
maggiore. Ma Dio è appunto in tale stato! » |
|
(Aristotele, Metafisica,
XII, 7, 10-12 [10] ) |
In origine, la cultura degli antichi Romani era collegata ad alcune divinità come i Penati (protettori della domus, intesa sia come "casa" sia come "patria"), i Lari e i Mani, gli spiriti dei defunti o anche le divinità dell'Oltretomba.
Oltre a questi c'erano altre divinità, legate alle attività agricole e alla guerra. Questi dèi, con l'ellenizzazione della cultura romana, furono assimilati ad alcune divinità greche più importanti: l'Ares greco divenne il Marte romano, Artemide confluì in Diana, Afrodite in Venere, Zeus in Giove, Poseidone in Nettuno, Ade in Plutone, Demetra in Cerere, Hermes in Mercurio, Efesto in Vulcano, e così via. La maggior parte di queste divinità erano già presenti nella religione romana, e furono semplicemente collegate a quelle romane in quanto di simili caratteristiche o funzioni.
Gli dèi erano visti dai Romani molto diversamente che dai Greci; mentre questi ultimi li vedevano inclini a parteggiare per gli uomini, i Romani pensavano che fossero entità sostanzialmente poco favorevoli agli uomini, da placare e invogliarsi con sacrifici o danze sacre.
Divinità etrusca |
Divnità
greca |
Divinità romana |
Attribuzione |
dio della luce, il re degli dei e sovrano del cielo |
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regina degli dei, sorella e moglie di Tinia e patrona di Perugia |
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dio del fuoco e del metallo, figlio di Uni |
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dea dell'amore, della bellezza, della fecondità e della salute |
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dio del mare, fratello di Tinia |
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dio del commercio, protettore dei mercanti e dei viaggiatori |
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dio della guerra |
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dea delle mesi, della fertilità e dell'agricultura |
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dea della caccia e della verginità |
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dio del sole e della luce, fratello gemello di Aritimi |
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dea della sapienza e delle arti |
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dio del vino e delle feste |
Rappresentazione di Dio in un'incisione di William Blake
La visione di Dio presso la religione induista è estremamente articolata, dal momento che l'Induismo stesso può essere considerato un insieme più o meno eterogeneo di numerose correnti filosofiche e religiose, a volte in evidente contraddizione tra loro. Questo rende l'Induismo difficilmente classificabile; infatti, sebbene da molti venga considerato politeista, vi si ritrovano tratti di diverse tipologie di religiosità, tra cui monoteismo ed enoteismo. I principali punti di vista della religione induista sono sei, e vengono chiamati Darshana; designano le differenti possibilità di approccio ad uno o più degli aspetti filosofici, devozionali, metafisici e ritualistici emersi in un'epoca che affonda le sue radici nel mito (l'Induismo è infatti la più antica delle principali religioni del mondo).
Secondo alcuni non è corretto parlare di "Dio" in un contesto induista, poiché tale termine, nella cultura indiana, può riferirsi tanto alla totalità del divino quanto ai suoi singoli aspetti: ad esempio, l'aspetto personale o quello impersonale, l'aspetto creativo o quello distruttivo, l'aspetto femminile o quello maschile, l'aspetto dolce o quello austero, l'aspetto trascendente o quello immanente, ecc.
Questa tendenza a racchiudere in simbologie aspetti tra loro opposti e complementari spiega l'apparente contraddizione tra le varie forme divine venerate nell'Induismo. Ciò si riflette nel sistema delle murti (raffigurazioni di Dio o dei suoi aspetti). Ad esempio Devi a seconda dell'aspetto che si vuole considerare viene chiamata Kali (aspetto terrifico della Madre Divina che, per amore del devoto, distrugge i demoni) oppure Bhavani (aspetto creativo della Madre Divina, letteralmente "colei che dà la vita") e, allo stesso modo, Shiva (l'aspetto paterno/maschile di Dio) viene chiamato a seconda dei casi Hara (letteralmente "distruttore") o Shankara (letteralmente "benefico").
Solitamente, con Dio in un contesto induista ci si riferisce al Dio-persona (generalmente chiamato Īśvara, che significa "il Signore"), il Dio con una propria individualità, con degli attributi, con nomi e forme (in sanscrito, nama-rupa), il Dio dotato di tutti i poteri, al tempo stesso immanente e trascendente, il Dio che si incarna ed impartisce gli insegnamenti necessari per ottenere la realizzazione spirituale. Īśvara (nelle sue innumerevoli forme e nomi) costituisce l'aspetto supremo di Dio presso i principali culti devozionali (Bhakti
o Bhakti Yoga) monoteisti, ovvero Shivaismo (monoteismo di Shiva), Vaishnavismo (monoteismo di Vishnu/KrishnaSecondo la scuola di pensiero del Vedānta, in particolare secondo la filosofia Advaita (filosofia della non dualità), esiste un substrato metafisico di tutto ciò che esiste – su tutti i piani, grossolano, sottile e causale – un vero e proprio supporto situato al di là di ogni individualità, sia che essa riguardi l'anima individuale (detta Jīva) o quella universale (Ishvara, o Dio-persona). Questo substrato si trova oltre il mondo dei nomi e delle forme, ma per poter essere indicato viene chiamato Brahman; esso rappresenta la base del manifesto e dell'immanifesto, uno stato indifferenziato di puro essere, eternità e beatitudine, senza nascite e senza cause, situato al di là di qualsiasi speculazione filosofica o moto devozionale.
Per l'induista, le varie religioni (chiamate Dharma) sono sentieri che conducono all'unica meta; l'unica cosa che differisce sono gli strumenti per giungere a questa meta, ovvero i nomi e le forme, le ritualità, ecc. Da qui il forte senso di rispetto verso tutte le fedi, poiché ognuna di esse è vista come una possibile via per raggiungere l'unico Dio e riscoprire la propria natura divina.
Il Buddhismo è fondamentalmente una religione non-teista; Gautama Buddha, fondatore della religione, rifiutò sempre di occuparsi di questioni metafisiche sostenendo di insegnare solo ciò che è necessario a seguire la Via, e nient'altro. Al monaco Malunkyaputta che gli poneva simili domande rispose che se un uomo avvelenato desiderasse sapere tutto dell'avvelenatore prima di assumere l'antidoto, non riuscirebbe a salvarsi.[11]
In tutte le speculazioni posteriori, gli dei, che pure compaiono spesso nelle scritture buddhiste, sono considerati esseri senzienti al pari degli altri, e quindi prigionieri del Saṃsāra; la natura "divina" è solo una di quelle appartenenti al ciclo delle rinascite, ed agli dei si nega dunque la trascendenza (esempio Brahmajala Sutta). Un altro atteggiamento verso gli dei è che avendo natura diversa da quella umana sia impossibile ogni forma di contatto: nel Tevijja Sutta, Gautama condanna come sciocchezza l'idea che i brahmini possano insegnare ad altri come raggiungere Brahma, che essi stessi non conoscono.
Nelle scuole Buddhismo Theravāda nessun
essere vivente è al di là del Saṃsāra, e dopo la sua morte un Buddha è al di là
dei sensi. A partire dal Buddhismo Mahāyāna
però si assiste a un progressivo fenomeno di "divinizzazione" della
figura del Buddha;
Nel Buddhismo Mahāyāna,
pur negandosi decisamente il concetto di un creatore o di una entità
onnipotente (sia singolari che plurali), si parla tuttavia in alcuni sutra (ad esempio nel Mahāparinirvāṇa Sūtra) di un principio noto come "Natura di
Buddha" (Buddha-dhatu o Tathagatagarbha), piano ultimo di tutte le cose,
Nel Buddhismo Vajrayana, nelle scuole tantriche, in particolare nel Buddhismo tibetano, è presente la figura dello Yidam, discutibilmente tradotto come "deità"; gli Yidam sono forme di Buddha che rappresentano particolari qualità della mente; tali forme sono parte centrale di alcune specifiche meditazioni nelle quali lo studente si identifica con esse per sviluppare le qualità che la forma rappresenta. Alcune forme, come ad esempio quella del "Buddha primordiale" (Adi-Buddha
), rappresentano la natura della mente stessa, non creata, avente le caratteristiche di spazio (vacuità), luminosità (capacità di conoscere e di sperimentare) ed assenza di limiti; il praticante buddhista ha come scopo ultimo il riconoscimento della natura della mente, l'Illuminazione. Nel Kunjed Gyalpo Tantra ("Tantra del Re Creatore del Tutto"), appartenente alla tradizione Nyingmapa, l'Adi-Buddha, identificato con Samantabhadra, dice di sé: «Io sono il nucleo di tutto ciò che esiste. Io sono il seme di tutto ciò che esiste. Io sono la causa di tutto ciò che esiste. Io sono il tronco di tutto ciò che esiste. Io sono le fondamenta di tutto ciò che esiste. Io sono la radice dell'esistenza. Io sono "il nucleo" perché Io contengo tutti i fenomeni. Io sono "il seme" perché Io do la nascita a tutte le cose. Io sono "la causa" perché tutto viene da me. Io sono "il tronco" perché le ramificazioni di ogni evento partono da me. Io sono "le fondamenta" perché tutto poggia su di me. Io sono chiamato "la radice" perché Io sono tutte le cose». Nel Buddhismo Vajrayana non è presente il concetto di un Dio creatore.Nella religione ebraica e nell'Antico Testamento Dio è visto come l'Essere Supremo, creatore, autore e causa prima dell'universo, governatore del mondo e degli uomini, giudice supremo e padre, la cui giustizia è temperata dalla misericordia, i cui propositi sono realizzati da agenti prescelti che possono essere sia individui sia nazioni. Dio comunica la sua volontà attraverso profeti e altri canali stabiliti.
La fede del popolo ebraico è in un primo momento un culto di monolatria (conosciuto anche come enoteismo): ogni popolo ha il suo Dio, ma il Dio del popolo ebraico è l'unico che Israele adora e serve. Sono eco di questa concezione passi biblici come quelli che dicono: "Il Signore è il nostro Dio, il più grande di tutti gli dei", riferendosi in questo caso ai 70 angeli principi delle 70 Nazioni. Ci si riferisce a lui come il "Dio dei nostri padri", "il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe".
È solo al tempo dell'Esilio babilonese (VI secolo a.C.
) che Israele passa della monolatria al monoteismo: c'è un solo Dio, tutti gli altri sono apparenza.Il Dio degli ebrei è creatore di tutte le cose, che ha plasmato dal nulla. Il profeta Ezechiele, rappresentando la maestosità del Creatore e della sua perfetta organizzazione in un simbolico carro celeste, parlò della presenza di quattro creature viventi, cherubini, ai lati di questo carro. Ogni creatura aveva quattro facce che rappresentano i quattro principali archetipi angelici poi correlati nell'esegesi ebraica anche agli attributi di Dio. In particolare le figure descritte da Ezechiele sono:
Il Dio degli ebrei è un Dio impegnato in loro favore (all'inizio), e verso tutti gli uomini (tempi più tardi). Israele nasce come popolo quando sperimenta che Dio lo libera della schiavitù d'Egitto. Da quel momento in avanti Dio è colui che dice "presente" (la radice del nome è la stessa radice del verbo essere coniugato al presente indicativo = Io sono = Io sono qui con te), e gli è accanto per accompagnarlo e salvarlo. Anche le circostanze dolorose, come cadere in mano dei nemici o l'Esilio babilonese, sono interpretate come un'azione di Dio che corregge il suo popolo a causa dei suoi peccati.
La Trinità rappresentata in una celebre icona di Andrej Rublëv, Angeli a Mamre, 1410
Nella professione di fede ebraica, condivisa anche dal Cristianesimo, si afferma l'unicità di Dio (monoteismo).
Tuttavia viene accettata completamente anche l'affermazione di Gesù: «chi
vede me vede il Padre» (Giovanni 14,9) e «Io sono la via, la verità e la vita;
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Giovanni 14,6). Nei primi
concili ecumenici, a partire dal IV secolo,
si cerca di razionalizzare questo paradosso apparente. Nel Credo niceno-costantinopolitano
si professa un solo Dio, onnipotente, creatore dell'universo e di ogni cosa. Il
Credo però prosegue dichiarando che Gesù Cristo è "Dio da Dio, luce da
luce, Dio vero da Dio vero", che è consustanziale a Dio, che al tempo
stesso possiede la natura umana, e che anche lo Spirito Santo è Dio. Si viene a
definire la dottrina
trinitaria, una delle dottrine che separa il cristianesimo dall'ebraismo da cui
è derivato. Le principali Chiese cristiane concordano nel parlare di mistero
cristologico e mistero trinitario, ritenendo ineffabile la natura profonda di
Dio, e che perciò fosse necessaria una rivelazione
da parte di Dio stesso, non potendo la ragione umana
arrivare a dedurlo.
Queste dottrine sono condivise dalle tre maggiori forme di Cristianesimo: Cattolicesimo,
Ortodossia
e dal Protestantesimo maggioritario. La sua definizione
dogmatica ebbe luogo a partire dal IV secolo,
a seguito della disputa fra
Nel cristianesimo, il monoteismo e la trascendenza di Dio sono un elemento essenziale che però non esclude il fatto che, oltre ad essere nei cieli, Egli possa vivere anche in terra (il caso di Gesù e poi dello Spirito Santo fra gli uomini). Nel Vangelo secondo Giovanni si riporta l'affermazione di Gesù che rivela come Lui stesso sia nel Padre e il Padre in Lui; l'evangelista Giovanni parla del Consolatore (paraclito
), lo Spirito Santo che il Padre avrebbe inviato ai suoi figli fino alla fine dei tempi dopo la crocifissione, morte e resurrezione di Gesù: tale promessa si compie per la tradizione cristiana e viene ricordata nel giorno di Pentecoste, che celebra il "sedersi" dello Spirito Santo sulla madre di Gesù, le donne e gli apostoli, dopo la resurrezione e l'ascensione di Gesù al cielo.La sintesi delle Chiese cristiane è quella di un Dio Uno e Trino, un solo Dio e tre persone distinte (Padre, Figlio e Spirito Santo): tale articolo di fede, definisce Dio come Trinità, insieme alla incarnazione, passione, morte e resurrezione di Gesù sono i misteri fondamentali delle fedi cattoliche protestanti ed ortodosse.
Esistono tuttavia anche in ambito cristiano gruppi religiosi storici e confessioni contemporanee che non ammettono la trinità delle persone o l'unicità di Dio.
I Mormoni non sostengono la dottrina trinitaria. Ciò è evidente da alcuni passi presenti nel libro di Mormon, ed in Dottrina e Alleanze:
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« Dio
il Padre Eterno, il suo Figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo sono un solo
Dio, infinito ed eterno, senza fine.[12] » |
Joseph Smith all'inizio della primavera del 1820 narra di aver visto il Padre e il Figlio e nel suo racconto spiega che sono uomini e hanno corpi di carne e ossa altrettanto tangibili quanto i nostri, ma glorificati e perfetti. Solo lo Spirito Santo è un personaggio di spirito.[13] Sempre a Joseph Smith Gesù stesso spiega che lui e il Padre sono un solo Dio: "Poiché ecco, in verità io vi dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno; e io sono nel Padre, e il Padre è in me, e io e il Padre siamo uno."[14]
Nell'Islam, la divinità - una, unica ed eterna - si chiama in arabo Allah. Nel Corano, opera secondo l'Islam scritto lettera per lettera dallo stesso Allah, un altro nome è Rahman, parola d'origine sud-arabica che significa in arabo "misericordioso" e che, in età preislamica designava in alcune culture religiose nord-arabica (Palmirena) e sud-arabiche (Himyar) una divinità vera e propria. Allah rappresenta per questo sistema religioso l'Essere Supremo, onnipotente e onnisciente che ha creato e seguita a creare l'universo e ogni cosa in esso contenuta. Per quanto riguarda il tempo l'Islam considera che vi sia una perfetta identificazione con Dio e che, quindi, non si tratti di una sua creazione ontologicamente distinta.
Dal convincimento che ogni cosa che sembra esistere, compresa la materia bruta, è in realtà pervasa dallo Spirito di Dio ne deriva che anche gli atti umani sono opera del Creatore e che l'uomo ne abbia al massimo il "possesso" più che la "proprietà", avviando una discussione estremamente ardua sui limiti dell'azione umana che potrebbero portare a una sorta di fatalismo (tutto è determinato da Dio, tutto "è scritto" da Dio nel Corano, che s'identifica nella sua parola, attributo non distinguibile e diverso dall'Essere supremo e che dunque è eterno a parte ante e a parte post).
A Dio non è possibile contrapporre in alcun modo un principio del male perché questo porterebbe a una concezione dualistica del mondo. Nell'Islam, che è monistico, lo spazio riservato al maligno (Shaytān, Iblīs) è estremamente ridotto e quasi insignificante e la stessa natura "di fuoco" del diavolo non è neppure assimilabile a quella "di luce" degli angeli. Il bene è Dio e la sua la volontà e il male la negazione di Dio e il disubbidirgli. Il credente (mu'min) deve essere pertanto un muslim, ovvero un sottomesso assoluto al comando di Dio.
Dio è inconoscibile dall'uomo e quello che è dato sapere di lui deriva direttamente dalla sua rivelazione testuale. Secondo l'Islam, Dio ha dato la sua prima disposizione volitiva ad Adamo che è nell'Islam primo uomo e primo profeta. Nel prosieguo delle generazioni il tempo e l'azione talora maligna di alcuni uomini ha corrotto o falsato tale rivelazione e Dio ha per questo motivo seguitato a mandare suoi inviati e suoi profeti per riproporre l'insieme della sua volontà. Di questa lunghissima catena profetologica Muhammad (in italiano Maometto) costituisce l'ultimo anello. Dopo di lui non vi sarà più alcun inviato o alcun profeta e chiunque dovesse dichiarare riaperto il ciclo profetico si metterebbe automaticamente al di fuori di uno dei pochi dogmi islamici (come è avvenuto con la Ahmadiyya di Lahore o con i Drusi o con i Nusairi, solo per fare alcuni esempi).
L'onnipotenza, l'onnipresenza, l'onniscienza di Dio si accompagnano alla sua infinita misericordia e generosità, motivo per cui non si potrà mai asserire che Dio "è tenuto" a punire i malvagi con una pena eterna mentre si può affermare che un premio eterno è stato destinato dal creatore alle Sue creature a suo totale piacimento. Un passaggio teologicamente accettato afferma pertanto che l'Inferno non sarà eterno per i musulmani ma, a rigor di logica, l'eternità della pena non si potrà presupporre e pretendere neppure per il resto dell'umanità, perché questo sarebbe porre un inammissibile limite all'onnipotenza divina.
Gli attributi divini (sifāt ) coeterni
ma senza che si possa alterare l'unità di Dio («né Lui né altro da Lui»,
affermano i teologi musulmani sunniti) sono (per quanto riguarda quelli
"personali", ossia nafsiyya): la
vita, la scienza, la potenza, la volontà, l'udito, la vista e la parola, cui
una parte del pensiero teologico sunnita aggiunge
Molte posizioni riconducono la lotta fra il bene e il male a una lotta fra due forze di pari livello, eterna e senza un vincitore. Questa teorizzazione è sentita in varie sophie orientali e ha avuto una dottrina densa di conseguenze nel manicheismo. Il profeta Mani, rifacendosi alle idee di Zarathustra (latinizzato in Zoroastro) che combinava elementi di monoteismo e dualismo, nella Persia del VII secolo a.C. (odierna Iran) fece molti proseliti con una dottrina che prevedeva appunto un'eterna contrapposizione fra il principio del bene e del male: Ahura Mazda e Arimane.[15]
L'idea di due princìpi a fondamento dell'essere contrastava con le basi del pensiero greco, che ricercava delle spiegazioni non dicotomiche all'esistenza del male, pensando il non-essere come qualcosa di relativo e di minore, come un'inevitabile conseguenza che necessitava dell'essere-bene per esistere, mentre l'essere poteva evitare il non-essere restando Uno e tornando in sé.
Gran parte delle sette gnostiche teorizzavano che il mondo fosse stato creato non da Dio, ma da eoni che, nel loro complesso formavano il Pleroma. Gli eoni, in molti sistemi gnostici, rappresentano le varie emanazioni del Dio primo, noto anche come l'Uno, la Monade, Aion Teleos (l'"eone perfetto"), Bythos (greco per "profondità"), Proarkhe (greco per "prima dell'inizio), Arkhe (greco per "inizio"). Questo primo essere è anch'esso un eone e contiene in se un altro essere noto come Ennoia (greco per "pensiero"), o Charis (greco per "grazia"), o Sige (greco per "silenzio"). L'essere perfetto, in seguito, concepisce il secondo ed il terzo eone: il maschio Caen (greco per "potere") e la femmina Akhana ("verità, amore").
Quando un eone chiamato Sophia emanò senza il suo eone partner, il risultato fu il Demiurgo, o mezzo-creatore (nei testi gnostici a volte chiamato Yalda Baoth, o Rex Mundi per i Catari), una creatura che non sarebbe mai dovuta esistere. Questa creatura non apparteneva al pleroma, e l'Uno emanò due eoni, Cristo e lo Spirito Santo, per salvare l'umanità dal Demiurgo. Cristo prese poi la forma della creatura umana Gesù in modo da poter insegnare all'umanità la via per raggiungere la gnosi: il ritorno al pleroma.
Anche il Vangelo di Giuda, tradotto e poi acquistato dalla National Geographic Society, menziona gli eoni e parla degli insegnamenti di Gesù al loro riguardo.[16] In un passo di tale Vangelo Gesù deride i discepoli che pregano l'entità che loro credono essere il vero Dio, ma che è in realtà il malvagio Demiurgo.
Gli gnostici ofiti, o naasseni, veneravano il serpente, perché, come narrato nella Genesi (3,1), era stato mandato da Sophia per indurre gli uomini a nutrirsi del frutto proibito della conoscenza per acquisire una consapevolezza almeno pari a quella del loro creatore.
La visione deista di Dio sottintende la convinzione di poter giustificare razionalmente l'esistenza di Dio, tipo di visione diffusasi soprattutto nell'età dell'Illuminismo. Deista era per esempio Voltaire.
Il deismo ritiene che l'uso corretto della ragione consenta all'uomo di elaborare una religione naturale e razionale completa ed esauriente, capace di spiegare il mondo e l'uomo. Esso prescinde completamente da ogni rivelazione positiva e le si oppone, basandosi su alcuni principi elementari, primo fra tutti quello dell'esistenza della divinità come base indispensabile affermare per spiegare l'ordine, l'armonia e la regolarità nell'universo.
Il concetto alla base del deismo, quello di una divinità eminentemente creatrice, ma anche ordinatrice e razionalizzatrice, è immediatamente utilizzabile, nell'ambito della classificazione tra teoetotomie e religioni ed in ottica etnologica, per identificare questi secondi modelli rispetto alle prime. In una teoetotomia infatti la divinità non esplica solo una funzione creatrice ma anche quella di censore/supervisore etico dell'uomo. Questa modalità di intendere il profilo della divinità è una modalità contingente che si può ritrovare solo su sistemi di culto connessi con modelli sociali di tipo classistico. Il passaggio da modelli deistici a modelli teoetotomistici, corroborato da varie evidenze antropologiche, è stato invocato per spiegare il mito del peccato originale. Questa trasformazione socio culturale può essere infatti invocata per interpretare il passaggio dalla condizione anteriore alla manducazione del pomo dell'albero, detto dall'agiografo della conoscenza del bene e del male, in cui l'uomo, vivendo in contesti deistici non era in grado di sperimentare la condizione di conoscenza di eventuali gesti e scelte da intendere quale opposizione alla volontà della divinità (male) da gesti e atteggiamenti graditi alla stessa (bene). Le forme deistiche, non teoetotomistiche, non contemplano infatti alcun concetto di peccato/corruzione/impurità. Questo implica che in esse la sfera etica sia sottratta dall'ambito confessionale, di fede. L'uomo dunque non può conoscere il bene e il male. È immediata la possibilità di identificare questa valenza nel nome dato all'albero in questione. La conoscenza del bene e male, vere e proprie categorie teologiche, è infatti possibile solo in un contesto dove la divinità emani norme e leggi o principi etici a cui l'individuo si deve attenere, pena l'incorrere in sanzioni/condanne.
La concezione deistica, nata in un'epoca fortemente segnata dalle guerre di religione, intende così, mediante il solo uso della ragione, porre fine ai contrasti fra le varie religioni rivelate in nome di quell'univocità della ragione, sentita, in particolare nell'ottica dell'illuminismo, come l'unico elemento in grado di accomunare tutti gli esseri umani.
Nella religione wiccan il Dio è la controparte maschile della Dea. Da
notare come in questa religione entrambe le entità sono chiamate con
Evoluzione del tetragramma dall'alfabeto fenicio all'attuale ebraico
Dio traduce l'ebraico
El (nome anche di una divinità
fenicia), Eloah, ed Elohim
(grammaticalmente plurale, da cui varie ipotesi su di un politeismo
originario). Si trova nei testi che lo studio filologico fa risalire alla corrente eloista del Pentateuco.
La stessa radice si ritrova nell'ebraico e poi cristiano Elia e nell'attributo
di Gesù come Em-anu-el (Dio-con-noi);
ed anche nell'islamico Allah. A testimonianza dell'origine comune di
cristianesimo, islam ed ebraismo, i loro nomi di Dio condividono la stessa
origine. Il nome che appare più spesso nella Bibbia ebraica è quello composto
dalle lettere ebraiche י (yod) ה (heh) ו (vav)
ה (heh) o tetragramma biblico (la scrittura ebraica è da
destra a sinistra). Gli ebrei si rifiutano di pronunciare il nome di Dio
presente nella Bibbia, cioè י*ה*ו*ה (tetragramma biblico) per tradizioni successive
al periodo post esilico e quindi alla stesura della Torah. L'ebraismo
insegna che questo nome di Dio, pur esistendo in forma scritta, è troppo sacro
per essere pronunciato. Tutte le moderne forme di ebraismo proibiscono il completamento
del nome divino, la cui pronuncia era riservata al Sommo Sacerdote, nel Tempio di Gerusalemme. Poiché il Tempio è in
rovina, il nome non è attualmente mai pronunciato durante riti ebraici
contemporanei. Invece di pronunciare il tetragramma durante le preghiere, gli
ebrei dicono Adonai, cioè "Signore".
Nelle conversazioni quotidiane dicono HaShem
(in ebraico "il nome", come appare nel libro del Levitico XXIV,11)
quando si riferiscono a Dio. Per tale ragione un ebreo osservante scriverà il
nome in modo modificato, ad esempio come D-o. Gli
ebrei oggi durante la lettura del vecchio testamento o Tanach
quando trovano il tetragramma (presente circa 6000 volte) non provano a
pronunciarlo. Con il tempo l'esatta pronuncia del tetragramma si è persa.
Nelle lingue germaniche Dio è identificato con il Bene, anche se con il tempo probabilmente è andato perso il senso comune di quest'origine etimologica; infatti, l'inglese God e il tedesco Gott hanno la stessa origine degli aggettivi good e gut ("buono" e "bene").
Nel Corano, il libro, sacro dell'Islam, l'Essere supremo rivela che i suoi nomi sono Allāh e Rahmān, resi dal termine Iddio ("il" + "Dio") nella lingua italiana. La cultura islamica parla di 99 "Bei Nomi di Dio" (al-asmā‘ al-husnà
), che formano i cosiddetti nomi teofori, abbondantemente in uso in aree islamiche del mondo: 'Abd al-Rahmān, 'Abd al-Rahīm, 'Abd al-Jabbār, o lo stesso 'Abd Allāh, formati dal termine "'Abd" ("schiavo di"), seguito da uno dei 99 nomi divini.Il concetto di Dio ha dato vita a molte versioni immaginarie del Dio biblico, non sempre positive.
o
1.2 I tredici attributi della clemenza
divina o
1.3 Sefer haZohar: espressioni metaforiche
della Qabbalah ebraica tradizionale
|
Signore è il titolo con cui maggiormente nella Bibbia cristiana ci si riferisce a Dio.
Con il termine Signore nell' Antico Testamento:
« Ascolta, Israele (in ebraico Shema,
Israel), il Signore è nostro Dio, il Signore è uno solo. » |
|
Con il termine Signore nel Nuovo Testamento:
(Elisabetta a Maria, madre di Gesù, nel vangelo di Luca 1,43) |
« ...e ogni
lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. » |
|
M. McNamara - I Targum e il Nuovo Testamento, Bologna 1978 (dall’inglese 1972) 111-115.
P. Rossano, G. Ravasi, A. Ghirlanda, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline Milano 1996