CITTA’ ROMANE, CARDO E DECUMANO
Nello specifico, il termine "romanico" fa riferimento al legame con l'architettura romana, dalla quale vennero ripresi alcuni elementi strutturali (l'arco, la colonna, il pilastro, la volta) e una certa impostazione monumentale e spaziale. In relazione al termine romanico sono stati utilizzati dagli storici anche i termini preromanico (riferito alle realizzazioni architettoniche del IX e X secolo), protoromanico (riferito alle prime manifestazioni di questo nuovo linguaggio architettonico sul passaggio tra X e XI secolo) e tardoromanico per le regioni che nel XIII secolo non accolgono il nuovo stile gotico.
Pur tenendo conto delle diversità regionali, possiamo trovare nello stile romanico alcuni elementi caratterizzanti, soprattutto per quel che riguarda gli edifici religiosi che sono la sua massima manifestazione.
Ad esempio, la suddivisione interna si mostra piuttosto articolata, divisa in campate: spesso una campata della navata centrale (a base quadrata) corrisponde a due campate di lunghezza dimezzata nelle navate laterali. Le murature vengono realizzate molto spesse e robuste, ed il trattamento della superficie delle pareti è resa in maniera plastica, sia all'interno, sia l'esterno, con elementi sporgenti ed affossati che creano giochi di chiaroscuro. Vengono notevolmente utilizzati non solo colonne come nelle chiese paleocristiane, ma anche pilastri e successivamente si fa uso di pilastri compositi, come i pilastri cruciformi con semicolonne addossate.
Le colonne, tranne casi di spoglio, presentano capitelli scolpiti con forme vegetali o fantastiche, ovvero geometrizzanti, ma comunque originali e distanti rispetto all'architettura romana o paleocristiana.
La parete della navata è generalmente articolata con elementi plastici ed aperture sopra le arcate ed è molto spesso organizzata su vari livelli (matroneo, triforio, cleristorio), l'evoluzione dei quali sarà uno egli elementi di sviluppo verso il gotico.
Il materiale utilizzato per le murature è in genere (soprattutto per gli edifici di una qualche importanza) pietra da taglio, ridotta in conci regolari, lasciati a vista. Non mancano comunque edifici in mattoni in aree mancanti di materiali lapidei (Pianura Padana).
La copertura è prevalentemente a volta, anche se non mancano coperture a capriata, sia a nord (Normandia) sia a sud (Italia) e neppure serie di cupole (Francia occidentale, Venezia). Le volte della navata sono spesso a botte, soprattutto in Francia, ma proprio durante il periodo romanico si diffonde la cosiddetta volta a crociera, con una versione a sesto acuto in Borgogna e Poitou.
Allo stesso tempo nelle chiese di pellegrinaggio si iniziano a usare strutture che sottolineano l'innesto delle navate con il transetto, come torri e cupole; si diffonde la volta a costoloni dalla Lombardia e da Durham (Inghilterra); nasce anche la volta reticolare in Germania.
Gli elementi esterni più frequenti sono:
L'estrema duttilità con cui i costruttori romanici interpretavano liberamente i modelli degli edifici principali permise anche l'innesto di motivi più disparati, compresi elementi bizantini ed islamici (si pensi per esempio all'architettura siciliana o veneziana dell'epoca).
Interno della Cattedrale di Santiago di Compostela.
Il romanico italiano
Sant'Abbondio a Como
L'architettura romanica in Italia presenta un panorama molto variegato, soggetto a molteplici influenze (germaniche, francesi, bizantine, arabe...) dalle quali nacquero precocemente alcuni stili indipendenti. Un caso del tutto particolare ad esempio è quello della basilica di San Marco a Venezia, dove confluirono elementi romanici, bizantini e, successivamente, gotici.
Il Duomo di Pisa
La facciata di San Miniato al Monte, Firenze
Il rosone della chiesa di San Pietro, Tuscania
Basilica di Saccargia, Codrongianos (SS) particolare della facciata
L’architettura romanica in Sardegna ha avuto un notevole sviluppo sin dalle prime origini e per un lungo periodo. Le sue espressioni benché autonome non sono classificabili in una immagine riconoscibile, poiché nell’isola il romanico si è manifestato con risultati inediti ma in numerose forme. Questo a causa dell’insediamento nella Sardegna giudicale di numerosi ordini religiosi, provenienti da varie regioni italiane e dalla Francia.
Le mura di Ávila
Il rinnovamento delle tecniche costruttive caratterizzò non solo di un altissimo numero di costruzioni religiose, ma permise anche un salto di qualità nella costruzione di architetture civili e militari. In particolare grazie al passaggio a tipi di muratura più regolare, con l'uso di pietre da taglio perfettamente squadrate, e grazie alla capacità di copertura di ampi spazi tramite le volte.
Sebbene restino copiose testimonianze di edifici religiosi romanici in tutta Europa, le costruzioni a destinazione non religiose sono in massima parte scomparse[20]: rocche e castelli, abitazioni monumentali dei signori feudali, dopo aver perso la loro funzione residenziale e strategica, vennero il larga parte dismessi e a partire dal XVI secolo, quando l'uso delle armi da fuoco li rese obsoleti: molti di essi caddero così in un'inesorabile rovina. Analoga sorte ebbero la gran parte delle fortificazioni urbane medievali.
Nelle città le case-torri furono costantemente abbattute e scapitozzate per ragioni urbanistiche, politiche e di sicurezza pubblica, dal XIII fino a tutto il XIX secolo[21].
White Tower, Londra
Tra gli esempi superstiti di questa stagione spiccano, per esempio, le monumentali mura di Ávila, in Spagna, iniziate nel 1090 e che si estendono tutt'oggi per un perimetro di oltre tre chilometri, con nove porte cittadine e ben ottantasei torri semicilindriche a distanza regolare. Nella loro grandiosità si può leggere di riflesso lo spirito combattivo degli Spagnoli impegnati nella Reconquista.
Le opere
architettoniche ed urbanistiche, realizzate tra il I sec. a.C. e il IV sec.
d.C., non rispondevano solo a esigenze politiche e militari (dare il senso di
appartenenza all'impero), ma venivano anche incontro ai bisogni della
popolazione, per cui dovevano rispondere a criteri di funzionalità e praticità
e furono così ben edificate da essere utilizzate anche nei secoli successivi
alla caduta dell'impero, fino ai nostri giorni.
Una volta
compiuta la conquista militare, i romani badavano soprattutto a tracciare e a
pavimentare strade, a costruire ponti, a rifornire le città di abbondante acqua
attraverso imponenti acquedotti, a costruire servizi igienici pubblici come
terme, bagni e fognature.
D'altra parte l'attenzione alle strutture di servizio era già divenuta una
necessità inderogabile nella stessa città imperiale di Roma, che superava il
milione di abitanti.
Tecnicamente
gli architetti romani si servivano di due tipologie costruttive: la muratura e l'arco.
La muratura, cioè l'utilizzo di materiali come il mattone
cotto nelle fornaci, non conosciuto dai greci, che veniva abbinato al cemento,
consentiva la costruzione di alte masse murarie in grado di sopportare enormi
pesi.
L'arco invece permetteva di coprire ampi spazi vuoti.
Proprio l'arco a tutto sesto, che già gli etruschi usavano, è il principale
segno caratteristico dell'architettura romana. E' formato da una struttura
curvilinea, a semicerchio, che trasmette i pesi e le spinte ai pilastri sui
quali s'appoggia. Molti archi successivi dello stesso raggio formano la volta
che, avendo la forma di un mezzo cilindro, prende il nome di volta a botte.
La volta a crociera, che si svilupperà soprattutto nelle chiese medievali, è
data dall'incrocio di due volte a botte della stessa ampiezza. Arco e volta
erano già stati adottati dagli etruschi.
Archi (guarda quello di Costantino) e colonne vengono usati
dai romani anche come monumenti, per ornamento della città, con un certo valore
simbolico: l'arco è simbolo di trionfo del condottiero e la colonna è un
monumento commemorativo di grandi imprese imperiali.
La città
romana rispecchia nella pianta il tracciato dell'accampamento militare: una scacchiera di strade che si
intersecano perpendicolarmente, impostate sulla croce di due vie principali,
chiamate cardo e decumano.
Il centro
della città è costituito da una piazza (foro di Augusto, foro romano), sulla quale si affacciano i principali
edifici pubblici, sedi di attività politiche, amministrative, commerciali e
religiose.
Lo spazio
interno è sempre enorme, monumentale, come se volesse esprimere la stabilità
dello Stato ed affermarne la potenza e l'immutabilità, in netto contrasto con
la sobria misura degli architetti ed artisti greci. Solo il tempio romano ha caratteristiche riprese dai templi
greci (corinzi) o etruschi, ma con una fondamentale differenza: la tradizione
greca modella plasticamente gli edifici, creando soprattutto degli
"esterni", ed ha un carattere rettilineo (elementi verticali delle
colonne, elementi orizzontali delle trabeazioni); la tradizione romana invece
definisce soprattutto degli "interni", modellandone lo spazio con gli
andamenti curveggianti degli archi e delle volte (qui
gli elementi greci - colonna e trabeazione - da elementi strutturali diventano
mere decorazioni). Il tempio più importante è il Pantheon.
La basilica, di pianta rettangolare circondata da fila di
colonne, è la sede dell'amministrazione giudiziaria romana (il tribunale), ma
anche un luogo d'incontro per fare affari, una sorta di mercato coperto.
Il foro di Augusto, foro romano doveva rappresentare per l'osservatore le
qualità principali dell'arte romana: dominio dello spazio, solida compostezza,
potenza scenografica. Tuttavia i resti monumentali a nostra disposizione sono
scarsissimi, a motivo del fatto che la stessa ricchezza di marmi e metalli
preziosi con cui il foro di Augusto, foro romano veniva costruito lo rendevano oggetto di
continui saccheggi.
A Roma il
problema più difficile che gli urbanisti dovevano affrontare era quello
abitativo, poiché migliaia di persone vi giungevano continuamente con la
speranza di trovare nuove occupazioni o di sfuggire alla miseria, essendo
totalmente rovinate dallo sviluppo impetuoso dei grandi latifondi, lavorati da
schiavi, dai debiti, dall'usura che distruggeva soprattutto i piccoli e medi
proprietari terrieri.
Per le
classi meno abbienti, la plebe, furono erette le insulae, edifici a più piani con una pianta di
circa 300 mq e uno sviluppo verticale di circa 18-20 metri, il che rendeva
l'edificio piuttosto instabile e soggetto facilmente a crolli. Crasso si
arricchì anche in virtù di questi crolli, poiché accorreva immediatamente sul
luogo offrendo al proprietario dello stabile di ricomprarlo a un prezzo
stracciato, poi con una squadra di muratori specializzati ricostruiva
velocemente l'insula riaffittandola a prezzi
maggiorati.
Vi ci vivevano,
in piccoli locali, molte persone ammassate. Si accedeva ai piani superiori (i cenacula), attraverso strette e ripide scale comuni,
per consumare un pasto e dormire. Le stanze prendevano luce da un cortile
interno e dalle finestre aperte sulle vie. Al piano terra in genere erano
collocati i negozi e i laboratori artigianali.
I ceti
sociali più ricchi vivevano invece nella domus, un'ampia casa riservata a una sola
famiglia, con più stanze destinate a diverse funzioni; in genere occupava
l'intero pianterreno di un'insula. Se la domus era in campagna veniva chiamata villa,
che veniva costruita in zone dalla ampia visibilità ed era dotata di ogni
comodità: piscine, terme, bagni caldi e freddi, giardini, biblioteche ecc. La
villa era circondata da ampi porticati ed era per antonomasia il luogo dedicato
all'ozio, allo svago o al lavoro intellettuale, mentre per i lavori agricoli e
artigianali provvedevano i fattori e gli schiavi.
Come noto,
il vero luogo di divertimento per i romani restava l'anfiteatro,
dove si svolgevano i giochi, le gare atletiche, le sfide a morte tra i
gladiatori, la lotta tra schiavi e bestie feroci, le esecuzioni dei cristiani o
di altri dissidenti.
L'anfiteatro
aveva forma ellittica e si sviluppava in altezza, talvolta su tre ordini. Poteva
contenere migliaia di spettatori: l'anfiteatro
Flavio, conosciuto col nome di Colosseo,
aveva una capacità di circa 50.000 persone.
Un altro
luogo di divertimento per i romani era il circo: qui si svolgevano le
corse dei carri trainati dai cavalli - bighe o quadrighe - o addirittura
venivano inscenate battaglie terrestri o navali, dove naturalmente i vincitori
erano sempre i romani. Anche questa forma era ellittica ma molto più allungata
rispetto a quella dell'anfiteatro.
Anche
molti teatri vennero costruiti, ma in genere la
rappresentazione teatrale aveva per i romani una mera funzione ludica, ben
lontana da quella sacra e rituale che aveva avuto in Grecia. Gli attori erano
spesso degli schiavi o dei liberti.
Quanto
alla scultura, anche qui, come nella architettura, abbondano le opere di
carattere celebrativo, in onore di un personaggio famoso, come p.es. un
imperatore, un uomo politico, un grande oratore. Spesso la scultura racconta le
vittoriose imprese militari dell'imperatore (come p.es. la Colonna
Traiana), oppure celebra momenti della vita
della famiglia imperiale (vedi l'Ara Pacis). L'arte
quindi è uno strumento del potere per il potere.
L'imperatore
Augusto fu il primo tra i governanti di Roma a intravedere nella cultura e
nell'arte una forma di propaganda celebrativa del primato politico-militare
dell'impero: in suo onore furono eretti nelle province ben 17 archi di trionfo
(da notare che spesso questi archi erano decorati da bassorilievi che narravano
episodi della vita di un imperatore o di un eroe romano, ovviamente in forma
enfatizzata).
I romani
usavano l'immagine come una sorta di pubblicità, ben sapendo che è un mezzo di
comunicazione più semplice e immediato della parola. La usavano col gusto della
cronaca (e della curiosità) di chi vuole vedere tutto come se fosse presente
all'avvenimento. Ecco perché mettevano di seguito i momenti successivi di
un'azione come le sequenze di un film: in uno stesso paesaggio, o ambiente, la
figura principale (di solito l'imperatore) viene ripetuta col procedere
dell'azione. Un esempio di questa maniera, detta della rappresentazione continua,
è appunto quellao della già citata Colonna
Traiana: in una fascia che si snoda a spirale
(per più di 200 m.) sulla superficie della colonna vengono narrate le vicende
della guerra vittoriosa sui Daci.
Dopo la
conquista dell'Italia meridionale (Magna Grecia) e soprattutto della Grecia, i
romani restarono abbagliati sia dalle opere architettoniche che da quelle
scultoree dell'Ellade, al punto che non solo fecero
riprodurre numerose statue greche per arredare le loro lussuose abitazioni, ma
si servirono dei modelli greci anche per realizzare la statuaria dedicata agli
imperatori, cercando di dimostrare, in questo, d'essere i legittimi eredi della
civiltà ellenica. Da notare che la riproduzione delle statue greche classiche
per noi è molto importante, essendo andati perduti quasi tutti gli originali.
Qualunque
imperatore, se voleva colpire l'immaginazione delle masse, doveva essere
presentato di proporzioni gigantesche, con un corpo atletico, in atteggiamenti
retorici e accattivanti.
Nella
scultura romana vi sono però anche delle correnti che si oppongono alla
tendenza celebrativa e retorica. Lo si vede dai ritratti realistici, spesso di
destinazione funeraria e di scuola ellenistica, e da opere che risentono di
influenze orientali, come, di nuovo, la famosa Colonna
Traiana, i rilievi della quale, anche se
raffigurano la guerra contro i Daci, ci mostrano un imperatore molto umano nel
prendere decisioni anche sofferte, e indugiano lungamente sugli stessi
sconfitti, che restano sì "barbari" per i romani, ma capaci di
eroismo nel difendere la loro libertà.
Discorso a
parte va fatto per
Questi
affreschi venivano dipinti a encausto, ossia a caldo e non a fresco, come
invece si farà dal Medioevo in poi, e si rifacevano spesso alla mitologia
greca, inserendo i personaggi in contesti naturali e paesaggistici molto ampi
ed ariosi.
Anche la ritrattistica,
influenzata dagli etruschi, è presente, soprattutto in occasione di rituali
funerari in uso presso il patriziato, in cui si portava in processione una
maschera di cera che raffigurava con notevole fedeltà la fisionomia e il
colorito del defunto, Queste immagini di cera vennero ben presto sostituite da
busti in scultura, adottati, già in età augustea, da liberti e piccoli commercianti.
Ma
l'aspetto più significativo è che la pittura romana è dominata dagli effetti
prospettici, cioè non è una pittura piatta e bidimensionale, ma tridimensionale,
arricchita dall'illusione della profondità spaziale (che non è quella della
continuità del tempo, come nella Colonna
Traiana): nelle pareti delle stanze questo
effetto viene ottenuto dipingendo i personaggi non frontalmente ma di scorcio,
e badando a rispettare le proporzioni, le diverse dimensioni degli oggetti
riprodotti.
In
sostanza nella pittura romana si possono distinguere tre stili: quello
dell'illusionismo architettonico (basato sulla presenza di elementi che
definiscono lo spazio), quello delle figure plastiche e geometrizzate (dove
prevale la figura umana) e quello compendiario (una rappresentazione schematica
della realtà, con sommarie macchie di colore, a forti colpi di pennello).
Molto
diffusa nel mondo romano agiato era l'arte musiva, di derivazione ellenistica,
come la pittura sul vasellame. La consuetudine di pavimentare le stanze con
mosaici si sviluppò in tutto l'impero. Spesso i mosaici colpiscono per
la loro ricchezza di toni e di tinte, per la precisione del disegno e per lo
spiccato naturalismo.
Da notare
che noi spesso non conosciamo per nome gli artisti romani.
Il cardo di Gerusalemme
Il cardine (cardo) è una via che corre in linea di massima in senso nord-sud nelle città romane basate su uno schema urbanistico ortogonale, ossia suddivise in isolati quadrangolari uniformi, in particolare per quanto riguarda le fondazioni coloniali.
Il termine veniva infatti utilizzato per indicare una delimitazione in senso nord-sud nella centuriazione romana, ossia la divisione del territorio di una colonia in lotti che venivano assegnati ai singoli coloni. L'orientamento secondo i punti cardinali poteva tuttavia essere modificato per attestare la centuriazione su una grande via di comunicazione preesistente oppure su un elemento geografico importante, come ad esempio il corso di un fiume. Sullo stesso orientamento della centuriazione veniva quindi attestata anche la suddivisione della città in isolati.
L'asse principale della centuriazione e dell'urbanistica cittadina era il "cardine massimo" (cardo maximus), che si incrociava ad angolo retto con il "decumano massimo" (decumanus maximus), il principale asse est-ovest. All'incrocio del cardine e del decumano massimi si trovava quasi sempre il foro, ossia la piazza principale della città.
Queste strade erano cosi denominate anche nell'ambito degli accampamenti romani, detti castra, all'incrocio dei quali, però, non vi era il foro, bensì il cosiddetto praetorium, ossia la tenda del comandante. Da alcuni accampamenti importanti posti in posizioni strategiche, infatti, sono nate alcune tra le principali città europee (Torino, Pavia, Aosta quelle italiane, Vienna la più importante delle città straniere). Queste due strade si incrociavano all'interno del castrum, nello spazio centrale.
Decumanus maximus di Palmira in Siria
Il decumano (decumanus) era, nella pianificazione urbanistica romana una strada con orientamento est–ovest in un accampamento militare o in una colonia.
Il decumano principale era detto Decumanus maximus. Questo incrociava perpendicolarmente il cosiddetto Cardo Maximus, l’altra grande arteria principale. Di regola il foro si trovava all’intersezione tra il Cardo Maximus e il Decumanus Maximus. Il decumano inoltre collegava due porte dell’accampamento: la Pretoria (la più vicina al nemico) e la Decumana.
La parola ha origine dalla linea tracciata dagli àuguri da est a ovest quando interpretavano i presagi degli dei.