Un monastero è nel Cristianesimo un edificio comune (o una serie di edifici) dove vive una comunità di monaci o monache, sotto l'autorità di un abate o di una badessa. I monasteri non costituiscono un ordine religioso: ognuno di essi può essere una comunità a parte, oppure fare parte di confederazioni, con alcune funzioni di coordinamento e di mutuo aiuto.
Monastero non è sinonimo di convento. Quest'ultimo venne introdotto con l'avvento degli ordini mendicanti, i cui monaci sono chiamati "frati" e "suore", cioè fratelli o sorelle.
I monaci vivono una vita di preghiera e di lavoro, spesso manuale, ma con varianti di grande importanza a seconda del periodo storico, dell'ordine di riferimento, della regione nella quale si trovano.
Presentano monasteri anche alcune religioni orientali, soprattutto il Buddhismo.
Nel monastero sono presenti diversi ambienti: il chiostro (il cortile interno), il dormitorio (le celle dei monaci), il refettorio (la mensa) e le officine, adibite alle varie attività lavorative. Una di queste era una grande sala, con molte finestre. Si chiamava scriptorium, lo scrittoio, in cui i monaci amanuensi copiavano i testi antichi. Le molte finestre servivano per dare maggior luce ai monaci.
ricostruzione ideale di un monastero benedettino
I LUOGHI DEL MONASTERO
La Chiesa:
ciò che domina e
colpisce prevalentemente nella Chiesa monastica è la magnificenza e lo
splendore; essa, con l'altezza delle sue cupole e delle sue torri, per lo più domina
materialmente il resto dell'abbazia: questo sta ad indicare che l'Opus Dei,
l'ufficio divino che si svolge nella Chiesa, prevale per importanza su ogni
altra forma dell'attività monastica.
Il Capitolo:
è la sede delle
assemblee ufficiali della vita monastica. Qui il postulante si presenta a
chiedere l'ammissione al monastero; qui, iniziando il noviziato, l'abate gli
impone il nome nuovo e, in segno di umiltà ed affetto, ad imitazione di Cristo,
si piega a lavargli i piedi, seguito in ciò da tutti i fratelli; qui ancora
prima di emettere i voti il novizio viene accettato definitivamente alla vita
monastica; divenuto membro della comunità, avrà diritto a sedere in capitolo
ogni volta che l'abate
crederà
di consultare i fratelli su qualche affare importante, perché qui si trattano
gli interessi maggiori della casa. Le origini del
capitolo furono umili:
distinto appena dal
chiostro,
cui era
attiguo,
ora primitivamente destinato alla distribuzione del lavoro manuale. Alle preghiere che accompagnavano
l'attribuzione delle varie incombenze si
aggiunse poi la lettura di brani della Regola.
Benché il passo letto quotidianamente non
corrispondesse sempre ad un capitolo, tuttavia questo nome
restò attribuito alla sala ove i monaci prendevano conoscenza del loro codice.
I chiostri,
circondati da
portici sostenuti da colonne e pilastri, uniscono fra loro le varie costruzioni
del monastero di cui vengono così a formare l'ossatura e servono ai religiosi
da deambulatori e riparo. Alcuni hanno al centro delle aiuole fiorite, altri il
tradizionale pozzo sormontato per lo più dalla croce o dal monogramma di
Cristo. Nei chiostri vige la Regola del silenzio.
La biblioteca.
Le biblioteche
benedettine hanno avuto una funzione importantissima nel corso della storia:
dopo la caduta dell'impero romano, furono i monaci a raccogliere dalle rovine
quello che fu possibile salvare del sapere dell'antichità e per molti secoli le
biblioteche claustrali custodirono con cura innumerevoli manoscritti. Anche ai
giorni nostri la biblioteca ha grande importanza in un monastero perché la
lettura e lo studio fanno parte integrante della vita monastica benedettina.
Il dormitorio.
Il dormitorio
comune prescritto da S. Benedetto fu sostituito nel corso dei secoli dalle
singole celle. Dapprima si praticarono delle divisioni di legno per proteggere
il lavoro dei fratelli dalle distrazioni inevitabili in una sala comune ed
incompatibili con le esigenze dell'attività intellettuale (studio). In seguito
la stanza fu chiusa da una porta e, in tal modo, si giunse al tipo di
costruzione attuale divenuto di uso generale dal XV secolo.
Il refettorio,
è il luogo del
pasto comune. Non è una banale sala da pranzo, ma anche qui, come in tutta
l'abbazia, si rivela una caratteristica della vita benedettina: la cura di
elevare le minime azioni della giornata ad atti profondamente religiosi. Prima
del pranzo c'è la benedizione del cibo; durante il pranzo viene fatta la
lettura pubblica di alcuni brani della S. Scrittura come prescrive la Regola:
"mai la lettura deve mancare alla mensa dei fratelli".
Il cimitero.
Nessuno ha
coltivato la pietà per i morti con tanto zelo quanto i monaci. La ragione di
ciò è semplice e profonda. L'abbazia è formata da uomini che vivono insieme e
non si dimenticano. La vita comune è troppo intima, il cimitero, il luogo cioè
dove riposano i corpi che attendono l'eternità, non è così lontano da
permettere che i vivi non pensino ai defunti.
Nei secoli passati quando le difficoltà delle comunicazioni rendevano enormi le
distanze, i monaci avevano trovato il mezzo di annunziarsi scambievolmente la
morte di un confratello e assicurare così i reciproci suffragi: d'abbazia in
abbazia, di provincia in provincia, peregrinava un religioso che portava con sé la lista dei morti dove erano
notati i defunti dell'anno con un breve "curriculum vitae".
Questo uso ha perduto la sua ragion d'essere ma ancora oggi, ogni giorno
all'ora Prima, si ricordano i religiosi ed i benefattori defunti e, una volta
al mese, tutta la comunità va a benedire le salme che riposano nei sepolcri.
L'azienda
agricola, pur mantenendosi ben curata ed ordinata, non può più avere
l'importanza dei secoli passati, quando la terra
costituiva l'elemento quasi
esclusivo della
ricchezza
monastica. Oggi la funzione della tenuta monastica, dove pure essa esiste, è
quella di permettere al monastero di trarne, almeno in parte, i prodotti
necessari al proprio sostentamento.
LA GIORNATA DEL MONACO
Prima dell'alba
il monaco si alza al suono della campana e si recano in chiesa per la recita dell'ufficio
notturno, che termina con le lodi mattutine.
Al termine di questo spazio di tempo riservato alla preghiera il monaco inizia
il proprio lavoro, che non interrompe più sino alla Messa conventuale, centro
di tutta l'ufficiatura e punto culminante della vita monastica.
La campana dell'Angelus ricorda l'ora del pranzo: nel refettorio l'abate
benedice la mensa ed il lettore che, come vuole la regola, leggerà un brano di
S. Scrittura durante il pasto.
Dalla lettura ad alta voce deriva naturalmente la legge del silenzio per
evitare ogni diminuzione di raccoglimento.
A tavola i monaci si servono a vicenda, a turni settimanali.
Dopo il pranzo c'è un'ora di ricreazione comune. Pare che la ricreazione
attuale dei monasteri benedettini non risalga alle origini dell'istituzione
monastica, sebbene la Regola di S. Benedetto assegnasse già ai monaci qualche
momento al giorno per lo scambio delle parole necessarie: comunque, dal IX
secolo, la ricreazione è ammessa ovunque ed attualmente avviene due volte al
giorno, a mezzogiorno ed alla sera.
Al termine della ricreazione i monaci ritornano al loro lavoro.
La campana della cena riunisce di nuovo la comunità monastica per un pasto
rapido e frugale, seguito da una breve ricreazione. Quindi il monastero si
immerge nel silenzio: è l'ora di compieta, la preghiera della sera, l'ultimo
atto della giornata del monaco.
L'abate benedice i monaci e, dopo qualche altra preghiera per i morti o alla
Vergine, tutto tace.
La lunga ed operosa giornata del monaco è chiusa.
Da compieta all'indomani mattina, finito l'ufficio notturno, nessuno può
rompere il silenzio senza un grave motivo.
DELLA VITA DI SAN BENEDETTO
Benedetto nacque
nella piccola città di Norcia verso il 480 d.C., in un periodo storico
particolarmente difficile.
Quattro anni prima (476) era formalmente finito l'Impero Romano d'occidente con
la deposizione dell'ultimo imperatore Romolo Augustolo.
Fu contemporaneo di Teodorico e ne vide fallire nel sangue l'ambizioso progetto
di una pacifica convivenza con i Goti ed i Romani; poté assistere agli orrori
della terribile guerra fra i Goti e i Bizantini per il predominio dell'Italia
(535-553), guerra che lasciò desolato e spopolato il nostro paese tra stragi e
pestilenze.
Fu anche contemporaneo di Giustiniano e conobbe le pesanti interferenze
dell'imperatore bizantino in materia religiosa, con la conseguente umiliazione
dell'autorità papale.
Studente a Roma, constatò di persona lo stato di grave decadenza in cui versava
l'antica capitale dell'impero; da essa il giovane Benedetto fuggì via
inorridito ritirandosi nel silenzio e nella preghiera nei boschi dell'alta
valle dell'Aniene, ai confini tra il Lazio e l'Abruzzo.
Una comunità di monaci di Vicovaro lo volle come abate, ma l'esperimento fu un
fallimento: ben presto quei monaci, preoccupati per l'eccessiva austerità e
disciplina di Benedetto, tentarono di avvelenarlo.
Dopo questa esperienza, egli intraprese una nuova forma di vita monastica:
nella zona di Subiaco, sull'esempio di ciò che aveva fatto duecento anni prima
in Egitto san Pacomio, organizzò un gruppo di monaci, suddiviso in dodici
comunità di dodici monaci: ciascuna comunità aveva un proprio superiore, mentre
Benedetto conservava la direzione generale.
L'invidia di un prete, che non gradiva l'accorrere della gente con ricchi doni
ai piedi del santo, costrinse Benedetto ad abbandonare quei luoghi con il
gruppo dei suoi discepoli più fidati.
Fra di essi vi erano giovani dell'aristocrazia romana, come Mauro e Placido
figli di senatori, ma anche goti e figli di schiavi, gente umile e rozza: per
tutti Benedetto era il maestro nella "scuola del divino servizio"
(questa è la definizione che egli dà del monastero nella sua Regola).
Così Benedetto
gettava le basi di una unità tra barbari e latini molto profonda, perché fondata
sulla fratellanza universale insegnata dal Vangelo.
Allontanatosi da Subiaco, Benedetto si diresse a Cassino, sulla cui altura
fondò, nel 529, il monastero di Montecassino destinato a diventare il più
celebre in Europa.
Là avvenne la sua morte, tra il 543 ed il 555 d.C., in una data che l'antica
tradizione ha fissato al 21 Marzo.
Due o tre decenni dopo la sua morte i longobardi attaccarono Montecassino e vi
compirono la prima delle memorabili distruzioni che scandiscono, come tappe, la
storia di quell'abbazia.
I monaci scampati al disastro si rifugiarono a Roma portando con sé il testo
della "Regola", quasi certamente autografo di san Benedetto.
Da loro stessi il papa san Gregorio Magno apprese la vita del grande santo e ce
ne trasmise il racconto nel secondo libro dei suoi "Dialoghi" unica
fonte storica in nostro possesso per conoscere la vita di san Benedetto..
La Regola benedettina con le sue esigenze di ordine, di stabilità, di sapiente
equilibrio fra preghiera e lavoro, si impose ben presto a tutto il monachesimo
occidentale e fu seguita in tutti i monasteri europei.
San Benedetto divenne così uno dei santi più popolari e venerati ed apparve a
tutti come l'uomo suscitato da Dio per portare la pace là dove erano state
seminate le distruzioni e la morte.
Divenuto il simbolo dell'ideale monastico, fu spontaneo attribuire a lui il
merito di tutto ciò che il monachesimo, compreso quello pre-benedettino e
quello extra-benedettino aveva compiuto a servizio della civiltà.
Così nel 1947, Pio XII lo chiamò "Padre dell'Europa" e il 24 ottobre
1964, in coincidenza con la consacrazione della basilica di Montecassino,
ricostruita dopo la distruzione della seconda guerra mondiale, Paolo VI lo
proclamò "patrono d'Europa".
CENTRI
DI VITA ECONOMICA
La valorizzazione
del lavoro, considerato come mezzo di elevazione dello spirito e perciò imposto
a tutti come un dovere, portò ad una ripresa della bonifica del suolo e del
lavoro dei campi in tempi in cui gran parte dell'Europa occidentale era incolta
e spopolata.
Seguendo le indicazioni della Regola, per provvedere alle loro necessità, i
monaci si diedero a dissodare ed irrigare i campi presso i monasteri, a
prosciugare le zone paludose, bruciare le stoppie, arare, seminare.
Il bisogno di cera per l'illuminazione delle chiese portò allo sviluppo
dell'apicoltura; le necessità di procurarsi la lana per i vestiti, la pergamena
per scrivere, il grasso per illuminare, favorì l'allevamento del bestiame.
Ben presto intorno ai monasteri vennero a raggrupparsi contadini in cerca di
protezione e, dietro l'esempio dei monaci, presero a dissodare le terre
incolte.
Rifiorirono così le culture della vite e dell'ulivo, da tempo abbandonate.
Ripresero anche gli scambi commerciali.
Il monastero, che normalmente sorgeva in un luogo isolato, divenne un centro
presso cui si radunavano, in determinati giorni dell'anno, le popolazioni
vicine per scambiarsi i loro prodotti; ben presto divenne il luogo in cui,
sotto la protezione dell'abate, poté sorgere un vero e proprio mercato.
Con il passar del tempo, per il rapido moltiplicarsi delle donazioni, le
proprietà dei monasteri benedettini assunsero vaste proporzioni.
Un altro importante contributo alla civiltà europea fu offerto dai monaci con la paziente trascrizione degli antichi scrittori. Si copiava soprattutto la Bibbia ed i testi dei grandi autori cristiani, ma anche storici, poeti, naturalisti ed autori di ogni genere del mondo antico trovarono ospitalità nelle biblioteche monastiche. I libri ricopiati con cura servivano ai monaci per la lettura e l'insegnamento. Per lungo tempo i monasteri, insieme alle chiese cattedrali, furono l'unico luogo in cui ci si preoccupava di istruire ed insegnare.
L'OSPITALITA'
L'alto valore che
i monaci attribuivano all'ospitalità (l'ospite è "come Cristo" secondo
le parole della Regola) fece sì che i monasteri divennero un punto di
riferimento sicuro per i pellegrini o per i vari viaggiatori che vi trovavano
aiuto e protezione. Nei loro viaggi verso la Terrasanta, verso Roma o gli altri
luoghi degni di venerazione i numerosi pellegrini sapevano di trovare nei
numerosi monasteri che costellavano l'Europa un ristoro alle dure fatiche del
viaggio e la risposta a qualsiasi necessità.
L'ABATE e LA BADESSA
"Quando,
dunque, qualcuno assume il titolo di Abate, deve esercitare il suo governo sui
propri discepoli con duplice insegnamento, mostrando cioè tutto ciò che è buono
e santo più con i fatti che con le parole; di conseguenza, ai discepoli in
grado di intenderli deve spiegare verbalmente i comandamenti di Dio; mentre a
quelli duri di cuore e piuttosto semplici, è con l'esempio del suo agire che
deve insegnare i precetti del Signore ... Non faccia l'Abate distinzioni di
persone in monastero".
"Ogni volta che in monastero si deve trattare qualche affare di
particolare importanza, l'Abate convochi tutta la comunità e sia lui stesso ad
esporre la questione in esame. Ascoltato il consiglio dei monaci, ci ripensi su
e decida nel senso da lui ritenuto migliore.
La ragione per cui s'è detto di convocare tutti a consiglio è che spesso il
Signore rivela ad uno più giovane la decisione migliore".